12255768_1238470999502504_1083023145_o“Mi ritorni in mente bella come sei, forse ancor di più…”Non avevo mai pensato che fosse così difficile questa canzone. Soprattutto il momento in cui lui si accorge che lei vuole un altro. “Un sorriso..e ho visto la mia fine sul suo viso” Uno, non tanti. Ne è bastato uno, di sorriso.Questa volta al karaoke me la son cavata veramente male, non saprei quale dei tre pezzi ho cantato peggio. Non mi sono buttata sui miei, anche perché non si possono cantare bene solo quattro pezzi. Il mio repertorio sembra l’armadio di Olivia di Braccio di Ferro. È vero che qui non sanno che faccio la cantante, almeno non tutti. Ma mi è sembrato più giusto osare, per divertirmi di più. Chi vuoi che se ne accorga che non so cantare Ci vorrebbe il mare. Sì, quella di Masini, ma prendo come riferimento la strabiliante versione di Milva. Le tonalità almeno potevo controllarle. Ma qui le uniche regole sono quelle del karaoke.

Più sei cattivo e più canti canzoni d’amore. Nel karaoke c’è il tamarro, uno di quei ragazzoni di provincia che se te li vedi di notte inizi a camminare forte. Uno di quelli che truccano la macchina, il motorino, l’ape e qualsiasi altro aggeggio meccanico si muova. Ma attenzione, questo avanzo metropolitano canta solo canzoni d’amore. E più è tatuato, più è sensibile. Poi c’è il timido che ti stupisce perché prende lezioni di nascosto. Poi ci sono le lesbiche che cantano insieme a squarciagola e tutto il resto del mondo potrebbe sparire. Con rabbia e desiderio. Poi ci sono le sorelle zitelle al tavolino che non si sa perché sono uscite, dato che non si dicono una parola. Poi c’è il capo che è un tenerone astemio e non diresti mai che uno così possa gestire tutta questa folla di fulminati.

Non bere né cocktail, né birra alla spina. Al karaoke si bevono cocktail, ma ho sempre avuto il sospetto che i liquori fossero quelli dei discount messi nelle bottiglie di marca, non per risparmiare, ma al contrario per abbondare. Che poi hanno dei nomi poetici: la vodka Molotov, la crema di caffè Bellys, il Rum Millenario. Il Vodka tonic è quattro quinti di vodka, un quinto di gassosa. Il Gin tonic quattro quinti di gin, un quinto di gassosa. E via dicendo. Da svenire. Più si alza la quantità alcolica, più si abbassa la capacità di riconoscere il gusto. La spina è annacquata, meglio la birra in bottiglia. Al karaoke c’è il calcetto, ad ogni canzone d’amore e interpretazione di livello può capitare l’azione giusta e il grido: gggoooooaaallll. Al karaoke si può mangiare una pizza surgelata. E chi la mangia e sopravvive è un grande.

I classici. Una rosa blu del grande Zarrillo fatta solitamente dal tipo/tipa più marcia del bar. Se siete amanti del dettaglio e cercate bene avrà da qualche parte il fiore tatuato col colore dell’inchiostro. Non credo nei miracoli di Laura Bono fatta solitamente da una/uno che è stato appena mollato ed è sotto di brutto. I Modà in ogni loro forma e sostanza. Girasole, E poi, Come saprei di Giorgia in netta discesa per lasciare il posto a La solitudine, Tra te e il mare e Ascolta il tuo cuore in risalita dopo gli ultimi esibizionismi sudamericani di Laura. Ligabue ben classificato con Ho messo via, Ho perso le parole e Certe notti. Vasco Rossi per me è sempre vincente, ma ultimamente sembra aver un po’stancato il pubblico. Il suo pubblico sembra rivalutarlo nelle stranezze,come nel suo essere coverizzato da De Gregori in Voglio una vita spericolata.Risultato: uno che imita De Gregori che canta Vasco Rossi. Misteri del karaoke.

Gli imitatori. Data la mia passione per Mina potrei far parte di questa triste tipologia. I cavalli di battaglia sono Grande grande di Mina, Cercami di Renato Zero. Max Pezzali e Fiorello si imitano tra di loro in Sei fantastica e Finalmente tu, brani che interpretati da questa categoria creano un girone di meta-imitazione. Poi molti altri che annoiano solo ad elencarli.

La magia. Sono molte le magie del karaoke e non vorrei che parlandone svanissero. Una sera mi è capitato che un signore sulla sessantina che beveva una birra in solitudine, prendesse un microfono e stupisse con My way nella versione italiana di Fred Bongusto. Una interpretazione fatta di dinamiche e rispetto per l’originale. Appena finito se ne andò, lasciando del liquore nel bicchiere. Certa di avere immaginato, forse a causa del’alcol, lo guardai allontanarsi come un puntino nero nella notte. Sulla mia via.

 

 

 

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