La Minavagante versione Light

mareE’ dall’inizio del caldo che penso di fare una versione light della Minavagante. Proprio come il Philadelphia o la Coca Cola con metà delle calorie La Minavagante light potrebbe aiutare a trovare un po’ di refrigerio in questi giorni afosi anche per voi che mi leggete. Oggi che tutto è così leggero perché il mare è in tempesta, c’è un bel venticello e i ragazzi che fanno surf, ho capito che io di light non ho niente. Non sono a basso contenuto calorico, ma intera come il latte. Ecco il perché:
Non solo continuo ad indossare profumi, ma in più nella versione invernale e non in quella estiva. L’altro giorno sul 18 pieno come un cocco, una signora accanto a me si sente male. Tutti, aiutandola, diventano dottori. Il summit di specialisti dice che la causa sembra essere l’umidità, ma io so che è colpa di Fracas. La creazione di Robert Piguet è fatta da un bouquet di fiori bianchi: tuberosa, gelsomini, mughetto e iris. Se già d’ inverno lo chiamo il profumo di fiori marci, figuriamoci d’estate.

Nella bella stagione il motorino è il mezzo d’eccellenza. Il vento, il sole, il mare e le due ruote. Ma bisogna vestirsi in modo consono, sportivo, comodo. L’altra sera un motorino mi attende sotto casa. Metto un vestito di Max Mara bellissimo e con la particolarità di avere una cerniera sul retro. Salgo e sento zic. Penso “Si è strappato”. Molto peggio. La cerniera si è aperta e il vestito è completamente squarciato, diviso in due. Ore 20, retro di Piazza De Ferrari. Sono mezza nuda. Comincio a dare istruzioni alla persona che è insieme a me su come operare. Gli dico sicura: la cerniera è uscita dalla rotaia, ma nemmeno io ci credo. Lui si fida e riesce a rimetterla insieme, il ferro sale, il vestito è chiuso, si parte.

Infine d’estate bisogna mangiare leggero. Un gelato a pranzo, magari nei gusti di frutta, come dice costume e società estate. Non ce la faccio. Una volta l’ho fatto e mi è venuta una fame cattiva, rabbiosa, estiva e per niente light. Alle 17 mi son fatta fare pane e salame al banco del super.

Lo troverò un modo di fare la rubrica light magari il prossimo anno. Intanto buone vacanze.

 


Antonio, Kevin e Bruce: vi salvo io dalle aziende italiane

rositaTutto partì da una gallina. Non mi sto chiedendo se dall’uovo o dalla gallina: è stata proprio Rosita a rubarci quello che era il sex symbol mediterraneo degli anni ’90. Parlo di Antonio Banderas: attore, occhi neri, 1.74, scoperto, ai suoi esordi, da Pedro Almodòvar. Il cinema d’autore gli ha sempre strizzato l’occhio: annovera partecipazioni con Brian De Palma, Woody Allen, Steven Soderbergh, fino ad arrivare al compositore di sinfonie per immagini Terrence Malick. Io lo preferisco nei film di Jesus Rodriguez, dove quella sua aria da conquistatore assume i tratti dell’ironia ed è trasformato in eroe di un western dai valori ribaltati. Ma torniamo alla gallina. Ultimamente Antonio si aggira con maglietta caffè latte e grembiule tutto sporco di farina all’interno di un inquietante mulino dai giganteschi ingranaggi a preparare le focaccette. Ed io mi chiedo: “Ma dove sta la fattoria più famosa d’Italia? Quel Mondo Buono è in provincia di? Avranno fatto sicuramente un agriturismo: B&B Il mugnaio e la gallina. Ecco, se riuscissi a localizzare il laghetto, la collina e i bambini che giocano con gli aeroplani, andrei a rapire Antonio. Gli direi: “Possiamo portare Rosita se vuoi, ma devi tornare al cinema, ci manchi. Riesci a convincere i muratori che i tuoi panini sono differenti e loro, dopo averli assaggiati, ti danno pure ragione invece di riempirti di botte…è il momento di andare Antonio, hai fatto quel che dovevi.”

Ma questo salvataggio non basterebbe. La tendenza delle aziende italiane ad isolare fino ad esiliare nel nostro bel paese le star internazionali è sempre più diffusa. Provate ad indovinare chi è il guardiano del faro di Amalfi? Niente di meno che Kevin Costner. Si sa, la popolazione napoletana è tanto simpatica quanto invadente, ma Mister Balla coi lupi è vittima di vero e proprio stalkeraggio. Malgrado Costner, per studiare le parti, si nasconda in spiaggia dietro ad un gozzo, viene stanato da una giovane coppia. Mentre si rinchiude nel suo terrazzo e compra anche una rosa bianca per godersi almeno il pranzo, le casalinghe della zona gli fanno un agguato, premeditato in piazza, fino a che non è obbligato ad invitarle ad entrare. “Caro Kevin son passati i tempi di quando facevi il bodyguard, ora servirebbe a te qualcuno che ti proteggesse da queste Desperate Housewives e in più ti devi mangiare quelle Insalatissime messicane che il giorno dopo è tutto un prurito. Aspettami, prendo una Costa e ti porto via dal faro

Non sarà neanche un mese che l’unico, inimitabile, figo e simpatico Bruce Willis, con tanto di smoking, si aggira nella provinciale italiana vicino al mare alla ricerca di una festa che non c’è. “Bruce, attento. E’ tutta una montatura della telefonia italiana, per quello il navigatore non prende. Ricorda che se la Limousine ti abbandona e ti perdi, non devi accettare passaggi dagli sconosciuti. Questi loschi individui posseggono delle Ape Cross e sembrano innocui, ma utilizzando la scusa che hanno il 4G chissà dove ti portano, ti imprigionano, ti fanno lavorare, ti fanno vendere la frutta. Bruce, almeno tu, scappa finché sei in tempo dalle aziende italiane e regalaci un nuovo film che al cinema d’estate è tutto un horror di serie B”

 


Sarti cinesi

20150709_182041Mi occupo dei miei vestiti molto più della mia salute. Quando sono ben disposti insieme alle scarpe, mi restituiscono un senso di ordine che trovo con molta difficoltà nella vita. Ma per avere un buon armadio non basta comprare, la manutenzione è quasi tutto. Affido il mio patrimonio di scarpe ad un valido calzolaio argentino che condivide il suo laboratorio-nascondiglio nei vicoli solo con un cane e che apre e chiude quando gli va. Per i vestiti mi affido ai sarti cinesi. Ce ne sono moltissimi e sono tutti diversi. I primi a cui mi sono rivolta erano milanesi. Affidabilissimi, lavoravano giorno e notte in via Beatrice d’Este. Li potevi vedere cucire indefessi dalla vetrina del negozio. Io, facendo finta di aspettare il tram alla fermata, li guardavo ore per motivarmi alla vita. Poi mi sono trasferita a Genova e ho cominciato a farmi seguire da una famiglia di cinesi che operava al mercato orientale. Il più giovane era uno di quelli che vestono casual firmato, che hanno il ciuffo e che solitamente fanno i parrucchieri. Poi c’era il padre: un severo cinese tradizionale a cui non stavo simpatica. Avevo provato a costruire il rapporto giorno per giorno, data la mole di riparazioni, ma tutte le volte che andavo pregavo ci fosse il figlio e invece c’era lui. Alla fine della stagione mi aveva fatto quasi un sorriso. Poi l’errore, un duplice sbaglio di quelli che nei video games ti tolgono una vita. Mi dimentico un vestito alla chiusura estiva, chissà cos’era successo: un esame, una sbronza, un litigio, una partenza improvvisa. Fatto sta che lo dimentico. A settembre mi rendo conto del pezzo mancante, comincio a cercare il bigliettino, mettendo sotto sopra la casa, consapevole della gravità: trovo la tessera elettorale, trovo la lettera d’amore che mi scrissero nel ’93, trovo la foto con la migliore amica delle medie, ma non la ricevuta cinese. Sapevo ci sarebbe stato lui al ritiro: inutile raccontare la sua faccia, quando sono arrivata volevo morire. Abbiamo litigato così terribilmente che parlavo anche io cinese. Me l’ha tirato il vestito, però l’ho portato a casa. Inutile dire che non ci sono andata più. Da allora sono cliente della cinese più bella del mondo: alta e snella, che è raro nelle cinesi, la preferisco anche a Lucy Liu. Molto carina, molto brava, ma purtroppo molto cara. In più tende a sottolinearmi dall’alto dei suoi occhi a mandorla, i miei centimetri in più, tanto lei è la cinese più bella del mondo. Perché la mia autostima non crolli del tutto ogni tanto faccio giri e ne provo altri. Per esempio mi avevano parlato di Mei Mei, una cinese economica, ma completamente pazza. Pare che non capisca una parola d’italiano e che il suo negozio sia folle come lei e strapieno di vestiti in ogni dove, un casino allucinante. Se ti dice il giorno in cui il vestito è pronto, stai tranquillo non sarà vero. Ti farà tornare due o tre volte, ma poi ripagherà l’inadempienza con uno sconto strepitoso. Sembra quasi non volere soldi Mei Mei: è molto simpatica, ma ci sono troppe difficoltà di comunicazione. Per la mia terza laurea ho deciso, per la prima volta, di farmi fare un vestito. Un bene culturale merita un vestito fatto a mano. Dalla vetrina di un negozio di stoffe, una seta rossa con fiori e animali del bosco mi chiamava da tempo. Stoffa più cinese bella uguale salasso e crollo della sicurezza. Dopo aver preso le misure e accordato il modello la frase di commiato è: “Tu deve fale dieta”. Ma quel che conta è un risultato e non può essere che splendido.

 


Dalla terrazza del Cenobio dei Dogi.

cenobio nuovaDalla terrazza del Cenobio dei Dogi si vedono i bagnanti di sotto che godono della frescura del mare. Mentre il jazz risuona dal pianoforte a coda, il pubblico elegante, davanti alle porcellane bianche, approfitta del tripudio di gamberi, astici e club sandwich. Lamentandosi dell’aria condizionata, bevono champagne e gridano “Viva La sposa”. Decido di andare sul terrazzo, sembra che non ci sia neanche il vetro da quanto è grande e pulito, tanto che rischio di darci una testata regalando un diversivo agli invitati. Trovata l’uscita, si sente la differenza che non si vedeva, fuori ci son 37 gradi, contro i 17 del grande salone elegante. La vista è quella del promontorio ligure di levante. Una prospettiva, di quelle che salvano la vita. Di quelle che gli architetti non possono inventare. L’altezza, il caldo, la vertigine. La contessa Francesca Vacca Augusta, è precipitata in mare dal giardino di villa Altachiara a Portofino, l’8 gennaio 2001. Di secondo nome si chiamava come me. Ma invece di salvarle la vita, quella prospettiva gliela tolse. Mentre la immagino, vengo colta da vertigine e non riesco a capire se cado o mi butto. Il salto è enorme e quando riemergo non ci sono più bagnanti, solo mare. Esco dall’acqua e sento una bellissima frescura. Vedo tutti gli invitati di prima sulla spiaggia, le tavole sono imbandite ed indosso un bellissimo abito bianco: pizzo, satin, organza. Mi guardano, mi sorridono, mi attendono. Penso subito.”Malgrado il vestito è più probabile che debba laurearmi, piuttosto che sposarmi. Ma la quarta in cosa sarà?” E chiedo ad un tavolo di signori: “Scusate, sapete cosa sta per succedere?”Uno sorride, mi dice che sono sempre stata una donna simpatica.  Non lo prendo come un complimento, lo si dice delle brutte. Giustificandomi: “Volevo solo diventare un bene culturale, ma quattro lauree sono troppe..E poi come si permette, io sono la contessa Augusta.” Mi sento svenire. Ma non c’è l’open bar? Dove sono quei bei camerieri in livrea che portano un Martini quando uno ne ha bisogno? Vedo che c’è un libro, un romanzo, su un tavolino pieno di fiori. Riuscirò a scriverlo dunque? Forse devo ritirare un premio.. Nonostante il vestito, mi muovo rapida in quella direzione per leggerne il titolo, ma vengo travolta da una fiumana di gente. Risuona a palla Last nigh DJ save my life. Che pezzo straordinario, penso. La gente balla si diverte, anche io ballo con loro. Ma comincio a sentire dei rintocchi, un martello, non è il tunz tunz, è proprio un martello pneumatico. Improvvisamente apro gli occhi. Vedo il soffitto viola. Il ventilatore gira. Il vicino ristruttura, ma cosa hanno da ristrutturare sempre in 40 metri quadrati? Il computer è acceso, devo scrivere il blog e digerire il risotto allo champagne.

Foto: Sandra Sansalone