Bier?Jawohl!

20150822_235329Il proposito della vacanza appena imbarcata a Malpensa era bere poca birra. Basti dire che Audrey Hapburn la consumava ai pasti, per ordine medico, per ingrassare. Naturalmente già all’aereoporto di Schönefeld avevo rimosso. La città con maggiore arte e storia che io abbia visto all’infuori di Roma, ha le sue buone ragioni per traviarti. Oltre alla bontà del liquido biondo in questione, mi riferisco ai bar.
Ecco i miei preferiti:
Paris Bar
Charlottemburg
Era il Gotha degli intellettuali della Berlino Ovest. Zeppo di fotografie, disegni, quadri, opere d’arte. Io ho riconosciuto solo il mega autoritratto di Yves Saint Lauren ed ho apprezzato l’ immagine di una nave che bascula lentamente sulla parete. Un gruppo di intellettuali mi ha chiesto con irriverenza gli autori che conoscevo ed ho inventato magistralmente. Mi hanno offerto una birra.

Il bar del gatto Zappa
Savignyplatz
In questo bar mi immagino Marlene Dietrich che beve una birra. Ma la vera divinità del posto è il gatto Zappa: un felino da 10 Kg che fa una vita cinque stelle con le mance del locale. Se non lo trovate attendete, come mi disse il cameriere “Is somewhere”.

Eshenbräu
Wedding
Questo è un biergarten, ovvero un giardino della birra. Il più famoso a Berlino è il Prater a Prenzlauerberg, ma anche questo non scherza. Wedding diventerà il nuovo quartiere della scena berlinese, anche se ora è ancora principalmente operaio e collegato male con la metro. La cosa incredibile è che è costruito in una corte di edifici, per cui chiude molto presto la sera, l´ultimo ordine alle 21 in modo da non disturbare troppo i vicini. Nel centro c’è un enorme albero. L’albero della birra.

Il bar senza nome
Mitte
Questo l’ho scoperto all’uscita del Kino dopo aver visto lo Squalo. Un bancone nero di legno è il cuore del locale. Rotondo e centrale. Dentro, come due gazzelle, le signorine si districano per servire i molti clienti assetati. In Italia certo non esisterebbe, perché questo uso dello spazio lo rende meno capiente, ma l’essere tutti parte di quella rotondità, condividere il cerchio, porta coloro che bevono a guardarsi negli occhi.

Un’altra birra? Jawohl

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Fatto

laurenJohn Goddard, un avventuriero ed esploratore, scrisse una lista di 127 cose da fare nella vita. Ne realizzó 111 e quando ci riusciva scriveva accanto: FATTO

Ne cito alcune: Scalare l´Everest, lanciarsi da un paracadute, assistere ad una cerimonia di cremazione a Bali, saltare in salto un metro e cinquanta, leggere l`intera Enciclopedia britannica….

Ho provato a fare la stessa cosa rispetto alla mia vacanza

1) Dormire come fossi un neonato: piu´di 12 ore tra notte e giorno. FATTO

2) Fare jogging in un cimitero di Berlino. FATTO

3) Raccogliere in un quaderno le frasi piu´belle di Fiammetta Fadda. FATTO

4) Appendere ad un albero di Tiergarten una fotografia di Lauren Bacall. FATTO (Un vecchietto un poco brillo sosteneva che fosse Marlene Dietrich e che, in gioventu´, fosse stata sua amante)

5) Schiacciare il pulsante in alto di una sveglia pensando di farla illuminare e invece averla puntata alle quattro di notte. FATTO

6)Distruggere una bicicletta sul Lungo Mare Europa. FATTO

7) Farmi rubare una bicicletta alla stazione di Varazze. FATTO

8)Visitare la casa piu´addobbata di cuoricini e melograni in cartapesta del mondo e soprannominarla casa Chic. FATTO

9) Dimagrire almeno 5 kg. FATTO

10) Riprendere almeno 2 kg. FATTO

11) Giurare di non leggere mai piu´un libro di Baricco. FATTO

12) Rompere almeno 3 paia di scarpe. FATTO

13) Ricomprare almeno 6 paia di scarpe. FATTO

14) Rivedere la mia migliore amica delle medie e capire che i primi amori non si scordano mai. FATTO

15) Cantare almeno una strofa intera di Anche un uomo di Mina una quarta sotto alla tonalita´in cui la stanno suonando. FATTO

La cosa piu´eccezionale? Scusandomi per i refusi, sopravvivere alla tastiera tedesca.

 

 


Storia di una bambola

IMG-20150813-WA0001Una volta non c’erano carrelli così. Personalizzati per bambini, intendo. Delle sorte di macchinine che rendono agli adulti la spesa meno impossibile. E non c’erano le Winx. quelle signorine tutte gambe che a chi la raccontano di essere delle fatine? Per non parlare della maialina. Ma come possono far dormire un infante con un suino? Mi stupisco dei genitori che lo fanno. E’ anti igienico, sai quante brutte malattie si possono prendere? Una volta c’eravamo solo noi: le bambole di pezza. Magari si giocava con qualche cucinino, teiera, cavallo a dondolo, ma noi eravamo le protagoniste e avevamo tutta la scena. Poi ci son bambole di pezza e bambole di pezza. Io, per esempio, cucita a mano dalla nonna sono stata la bambola della prima nipote e poi della seconda, fino ad ora che ho fatto il salto di generazione e son passata nelle mani della figlia della nipote. Le cose di una volta durano di più, mica quelle robe cinesi che si comprano oggi. E dopo tutto questo? Mi dimenticano nel carrellino della bambina. Che delusione. Io che le ho rincuorate tutte le volte che cadevano, che c’erano i tuoni, che i genitori le sgridavano. Per non parlare di quando veniva buio. Anche se devo ammettere che si son date da fare. Hanno tappezzato il supermercato di mie foto e pagheranno anche una ricompensa a chi mi riporterà a casa. Ci si accorge quanto vale qualcuno, solo quando lo si perde. Hanno anche scritto un post su Facebook e pare che abbia 100 condivisioni. Mi sento una star, quasi come il tormentone dell’estate, quello del figlio di Iglesias, che quando sentivo suo padre cantare mi faceva sempre commuovere. Avessi avuto le lacrime…Magari questa signora che mi ha trovato, ora chiama con un fazzoletto sulla bocca e chiede il riscatto. Speriamo però che non mi faccia niente. Per fortuna le orecchie non ce l’ho, ma non vorrei mai che mandasse alla mia famiglia il bottone che mi fa da occhio. Fa tanto film poliziesco e allo stesso tempo giallo dell’estate. Anche se non vedo l’ora di vedere le mie ragazze, soprattutto quella piccola che mi mantiene sempre giovane, questa avventura mi è proprio piaciuta. Bisognerebbe rifarla tutte le estati, soprattutto oggi che si torna a casa!

 


Caro muratore ti scrivo

martelloCaro muratore,
oggi piove e non ti sento battere. Stamane hai usato un po’ la fresatrice, poi un po’ di mazza e scalpello e poi il silenzio. Chissà dove sei ora. Forse hai deciso di prenderti un momento di riposo. Magari dormi in quella distesa di macerie che immagino al piano di sopra. Hai iniziato i primi di luglio e mi dici, ogni volta che te lo chiedo, che finirai non prima del 31 agosto. Le mie ferie, dunque, le divido insieme a te. Quando batti mi sveglio e quando smetti io dormo, proprio come fanno le mamme coi bambini appena nati. Lavori anche il sabato. La prima settimana ero uscita il venerdì sera, la mattina dopo, quando mi hai svegliata ero così stanca che ho maltrattato tutti e ho comprato un paio di scarpe con le frange. Io che le frange le odio. La commessa diceva “Guarda come vestono bene” e io quel tacco 12 l’avrei usato solo come un’arma contro di te. Una volta ho anche sperato che stessi male, niente di grave, un raffreddore, ma che bastasse a non farti venire a lavoro. Anzi ti chiedo scusa per questo. Ma quello che mi chiedo è: l’appartamento di sopra è di 45 metri quadrati proprio come il mio e proprio come la metà degli appartamenti di via Venti. Intendo quelli sfigati, senza la stanza da letto, col bagno cieco. Ho capito che sei da solo, ma due mesi non sono tanti per metterlo a posto? Lo so che tra di noi si è creata quasi un’amicizia. Quella sera che son tornata tardi e ti ho lasciato il messaggio in cui ti chiedevo di iniziare un po’ dopo, chissà quante me ne hai dette dietro la mattina. A volte mi sembri quasi il mio papà, forse perché anche tu non sei di Bolzano. Ti ho anche invitato alla tesi. Ti ricordi quando ti ho portato il caffè dopo che ti ho gridato basta così forte che mi hanno sentito anche a Savona? Caro muratore, ormai anche tu fai parte di Venti Settembre 20 e ti giuro che quando finirai, per festeggiare andiamo a farci un bagno insieme. Non posso dire che mi mancherai, ma quasi ti voglio bene. Anzi oggi che sei così tranquillo ti canto anche una canzone…

 


Un interregionale verso il passato

IMG-20150802-WA0031Per preparare il mio frullato spargo polvere di proteine e vaniglia per tutto il vagone. E’ l’interregionale delle 13 e 37 che da Genova Brignole corre fino a Milano Centrale. Le americane accanto a me decidono di mangiare le loro focacce con la mortadella proprio al termine del mio “lauto” pasto. Sono scocciate da questo scambio di culture, mentre addentano pezzi di Bologna, pensano che quella roba l’hanno inventata loro. Nella mia valigia stanziano due cambi d’abito, due libri da leggere, due pochette da sera, due pranzi ipocalorici, due collane e tanti trucchi. All’incontro col passato bisogna andarci preparate, anche se è solo per due giorni. Bisogna avere un cambio per ogni evenienza. Ma come sempre, quando scappa un dettaglio, diventa il più importante. Posseggo una settantina di scarpe: l’unico paio contestato, disprezzato e messo in discussione è proprio quello che indosso oggi. Io le trovo comode e moderne. Da quanto le ho viste a scuola, le ho invidiate alle ragazzine delle medie: malgrado i tacchi alti, permettono di correre, di camminare e di ridere. L’anno scorso dopo aver indossato a lungo un paio di tacco 12, ho passato una notte con terribili fitte ai piedi. Mi convinsi che me li avrebbero amputati entrambi. Taglieranno anche la caviglia, ma io con queste scarpe posso guardare tutto dall’alto. Serve sicurezza per andare incontro al passato. Serve stabilità.

Sul taxi in cui viaggio col passato che mi emoziona e mi confonde, dimentico la giacca di pelle. Non mi accorgo di nulla, ma dopo un’oretta mi chiama una certa Linda dal radiotaxi e mi da un numero di telefono per risolvere la mia sbadataggine. Nessuno risponde. Intanto chiacchiero e ricordo insieme al passato. L’ansia mi fa mangiare e se, da sempre, chi è nervoso dimagrisce, io ingrasso. Ma ora so che quando si ha un invito a cena col passato è vietato magiare due S di pasta frolla. Mi chiama un tassista, evidentemente seccato ed appena sveglio. Non è Livorno 78, è Napoli 41. Mi scuso del disturbo, richiamo Linda, mi risponde Margherita e mi dice che i miei dati sono riservati per la privacy.”No, Margherita, devi darmi il numero di Livorno 78″.

Arrivo al ristorante. Il passato è affamato mentre digerisco lentamente i dolcetti. Suona il telefono. “Livorno 78, sei tu?” Effettivamente, sembrava simpatico anche durante la corsa. Mi dice che finisce il turno per le 22 e che passerà dal ristorante. “Bene”gli rispondo”mi trovi qui”. Cerco di affrontare il mio controfiletto, la carne si può mangiare anche senza fame, poi l’appetito vien mangiando. E bevendo. Insieme al passato.

Se guardo indietro nella mia vita ci sono sempre state le sigarette. Infatti alla fine della cena non posso resistere. Una tabagista può perdere il vizio, ma rimane una tabagista per sempre… squilla il telefono. “Francesca? Livorno 78, ho una chiamata dall’Hotel Bulgari, due russi che vanno a Malpensa, non mi libero prima di mezzanotte, mi spiace”. Sono contenta per lui, ormai gli voglio bene a Livorno 78. Gli dico ci vediamo a casa mia, l’indirizzo ce l’hai, salutami i russi.

Si parte col passato e si va a casa dove si cantano le canzoni dei cantautori, quelle che avevamo vissuto insieme, quelle di una volta. Il custode pensa siano arrivati i ladri, io fumo delle Winston blu che avevo in casa, forse negli anni 70 una cliente se le era dimenticate provando qualche pelliccia di volpe. Ma se sono felice insieme al passato, penso a quanto sia difficile esserlo con il presente. Il telefono suona, Livorno è qui sotto. Scendo, lo invito a cantare con noi. “Sono molto stanco, se no verrei” dice. In ascensore incontro una coppia di vicini di casa, due cinquantenni molto eleganti, nella vita ci siamo detti solo buongiorno buonasera, ma io sono felice e li invito al mare. Sembrano allegri, forse sono andati a festeggiare, forse anche a loro, in questa notte lunghissima, il passato è sembrato trasformarsi in presente.