Solo per una volta all’anno, da quando mi sveglio a quando vado a dormire, l’unica cosa che voglio è danzare.
Sono mossa da una gioia fortissima ed immotivata che sembra poter uscire da me, solo ballando.
E dunque a casa, a scuola, per strada, sul bus: volteggio, salto, mi sbraccio.
Poi il resto dell’anno, certamente la pago.
Con impronte di nostalgia e malinconia quotidiane.
Col mio blues immobile che può essere solo cantato.
Ma vale comunque la pena di viverla, quella giornata.
Io che di danza ne so pochissimo.
La mia è una vita fatta di parole.
La mia consolazione, il mio rifugio.
Ciò che mi fa innamorare, sognare, addormentare.
Ma che mi fa anche maledettamente illudere.
Un amico una volta mi disse che il problema di certa gente è sedersi sulle parole.
Io, addirittura, ho la tendenza ad ingrassare di parole.
Per questo più le amo e meno mi fido di loro.
La mia dieta dalle parole, negli ultimi anni, ha coinciso con un’ora di palestra.
Ma grazie alla mia insegnante la posso chiamare danza.
Ballando siamo in grado di trasformare delle energie.
Le prendiamo da un luogo misterioso di noi e le mettiamo nelle gambe, nelle braccia, negli occhi.
E io, a parte quella volta all’anno, ballo perché è la mia insegnante a farmi ballare.
Sono pessima, forse la peggiore del corso, cresciuta sui campi di basket dell’adolescenza e al massimo buona nel terzo tempo.
Quindi copio dalle altre, cercando di memorizzare e sbagliare il meno possibile.
Ma dalla mia insegnante non si può copiare.
Anche conducendo gambe e glutei o zumba, conferma la sua identità da étoile.
Soprattutto quando sorride, in lei tutto danza.
Il suo corpo è femminile e minuto, pur essendo tonico.
Capace di sostenere una bellezza antica e raffinata.
Ma quel che più mi commuove di lei è il modo in cui muove le braccia.
Io, che le braccia le terrei sempre ferme.
Ci vuole tantissima energia per muovere braccia e gambe insieme.
Un po’ come per suonare e cantare, quando si è all’inizio.
Purtroppo quest’anno non potrò più seguire il suo corso per un cambio d’orario scolastico improvviso e necessario, ma porterò con me quel suo muovere le braccia.
Che oltre alle estremità superiori, sembra un modo di aprire tutto il corpo, come lo sanno fare solo certi uccelli aiutati dal colore delle loro piumaggio, o certi fiori spinti solo dal profumo dei loro pistilli.
Proverò ancora, Madame, ad aprirmi così alla vita e magari prima o poi ci riuscirò.

 

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