Prima settimana di quarantena
Non riesco a reggere giornalmente la curva dei morti in TV.
C’è un’unica trasmissione allora che sostituisco al tg in questo periodo.
Uomini e donne di Maria De Filippi.
Il programma è identificato dal novantanove per cento dei pensanti con l’inferno e la conduttrice con chi ne sta a capo.
Io, invece, seguo il trono over.
Sono due i momenti clou della trasmissione.
Il primo quando i partecipanti litigano e si gridano le cose.
Che mi fa pensare all’animalità estrema dell’essere umano.
Amore, gelosia e invidia vengono shakerati con la frizzantezza del mercato di Antignano di Napoli.
L’altro, è quello della fiaba.
Non mi rifaccio affatto ai richiami alla letteratura come il trono dei protagonisti.
Ma al fatto che vi riconosca un corteggiamento antico, quello dei padri e delle madri chiusi in balera il sabato pomeriggio a invitarsi nei lenti.
Quando ballano in centro studio, che emozione d’altri tempi.
O il momento della scelta in cui tutti piangono e cadono coriandoli dal cielo.
Lui promette a lei amore eterno tra le lacrime.
E io mi commuovo.
Sopratutto per l’età dei partecipanti.
Romolo, per esempio, ha 80 anni ed è innamorato di Olga.
E la notte non ci dorme per questa passione.
Si è certi di trovare l’amore anche da vecchi dalla De Filippi.
Dicono alle dame o ai cavalieri di quanti metri quadrati è la loro cucina, cosa gli piace guardare la sera, da quanti anni è morta la moglie o il marito.
Chiedono solo di essere felici, ancora per un po’ e di tenersi per mano con qualcuno finché ce la fanno.
Mi godo questa idea d’amore e poi crollo sul mio divano letto.
Sono sotto alle coperte a recuperare quelle ore del mattino che solitamente non mi posso permettere e che invece mi riposano tanto.
Per ora le scuole sono chiuse e io dormo.
Non guadagno, ma quantomeno mi riposo.
E chissà per quanto.
Il problema sarà la difficoltà nel ricomprarmi il mio attico, se vado avanti così.
Devo pagare parte del mutuo perché sia mio.
La metà che lui ha messo in vendita.
Per fortuna, però, tutto è bloccato data l’emergenza, se no qualcuno l’avrebbe comprato e l’avrei probabilmente già perso.
Basterebbe avere una busta paga come quella dei professori di ruolo per convincere la banca.
Sono le 10.45 del mattino e avrei bisogno di dormire ancora almeno un’ora e un quarto per star bene.
Sempre meglio del sonno del pomeriggio, che mi porta a svegliarmi con un forte senso d’incazzatura.
Con 10 ore di sonno splende il sole.
Con 9 la luminosità diminuisce.
Con 8 pioviggina.
Con 7 mi si rompe l’ombrello dal vento e mi inzuppo d’acqua le scarpe.
Tara ereditaria di una madre bulimica nel dormire e di un padre che non chiude mai occhio.
Risultato: io che devo riposare quanto un neonato.
Ma come dice il mio terapeuta, poteva andarmi peggio.
“Il sonno è il suo antidepressivo. E non le serve neppure la ricetta.”
Alle 10.45, infatti, qualcuno mi suona alla porta.
Una raccomandata: il postino che mi sta lontanissimo, tutto impacchettato, mi tira il documento con la nuova residenza.
Sono l’unica persona al mondo che in una pandemia rimane sola con due case.
E vive in quella sbagliata.
Con questo pensiero mi muovo verso la spesa, tanto non mi addormento più.
I pochi esseri umani che mi circondano hanno tutti la mascherina.
Non voglio guardarli, il loro terrore mi attanaglia.
Io ormai ho paura solo della paura.
Come se mi fossi tolta una freccia avvelenata dalla spalla e mi trascinassi per espellere il veleno che è rimasto.
Che non ha avuto nemmeno la soddisfazione di uccidermi.
I supermercati sono stati presi d’assalto dopo il discorso di ieri sera del presidente.
Decido per il mercato.
I prodotti sono buoni e mi arreca sempre una certa serenità.
Peccato costi come Cartier.
Ma appena entrata mi rendo conto che non è affatto come lo ricordavo.
Mi trovo proprio tra due che si stanno prendendo a botte.
Tra gli “oh, oh” degli altri commercianti che si godono la scena e le sberle di quelli che intervengono per separarli si crea una rissa da saloon.
Sembra di essere in un film di Bud Spencer e Terence Hill.
Ma, al contrario di quei due, non fa per niente ridere.
Quando torno il vicino riproduce a volume altissimo la stessa canzone continuamente.
La quarantena si divide tra chi si lamenta perché è da solo e chi perché deve convivere con la famiglia.
Io devo fare i conti con questo rock pop da due soldi.
I ragazzetti romani, usciti da un qualche talent per riempire gli stadi, non me li merito proprio.
L’orrenda canzone, come il portacenere di prima, si infrange nella testa.
E appena finisce, il vicino la rimette da capo.
Senza interruzioni.
Senza pietà.
Passa dall’ingabbiatura di tondini di ferro per arrivare ad inquinare le mie orecchie.
Dopo almeno 100 riproduzioni di quello stesso brano anche lui si addormenta e io di seguito.
Ma alle due e mezzo mi sveglio di soprassalto.
Dai rumori che fa, sembra abbia deciso di cambiare la disposizione dei mobili.
Vorrei gridargli qualcosa, ma sono così turbata che non riesco nemmeno ad emettere suoni.
Come in certi sogni in cui voglio gridare ma è impossibile.
Recupero carta, penna e scotch e scrivo.
Esco col pile coi cuori, faccio un piano a piedi e attacco sulla sua porta a grandi lettere:
Se domani fai ancora questo casino, io chiamo i carabinieri

 

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