Ultima settimana.

La prossima settimana la Quarantena in qualche modo finirà e, con le dovute precauzioni, si potrà uscire.
Mentre vado al super, cerco di rimuginare su un articolo che oggi mi ha fatto molto riflettere.
Una lettera al giornale di uno scrittore di successo che si interroga sulle possibili conseguenze di questo periodo sulla società e in particolare sulle relazioni.
Qualcuno reagirà abbandonando la famiglia.
Dalla corsia dei detergenti una ragazza mi guarda con odio.
Non ne capisco la motivazione, forse perché io ho la mascherina FFP2 e lei no.
Dicendo addio al coniuge o alla partner.
L’uomo del banco salumi canta ad alta voce la canzone “Maledetta primavera” di Loretta Goggi.
La mascherina smorza le parole, ma io la riconosco e canto con lui.
Uomini e donne fisseranno nuove priorità e impareranno a distinguere meglio ciò che è importante da ciò che è futile.
Un anziano è da solo nel reparto casalinghi.
Guarda i prodotti, con un chiaro bisogno di aiuto, sperando che gli rispondano.
Al mio sguardo sorridente, posso immaginarlo increspare le labbra anche senza vederlo.
Ci sarà chi per la prima volta si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi.
Arrivo dalla cassiera e mi rendo conto di aver dimenticato il latte.
Mi guarda malissimo, ma ho talmente tanta roba che faccio in tempo ad andarlo a prendere.
“Ma si ricordi che ho la tessera” le dico dato che ho preso molti prodotti in offerta.
Quando arrivo, il conto è fatto “Scusi, ma la mia tessera?”
Mi risponde secca che ora non si può più.
Sembra che sia mia la colpa se lei è qui a rischiare di ammalarsi.
Torno a casa con un cestello d’acqua da una parte e due sacchi di plastica di quelli rigidi traboccanti dall’altra.
Sugli amori che non ha osato amare.
Sulla vita che non ha osato vivere.
Uomini e donne si chiederanno perché sprecano l’esistenza in relazioni che provocano loro amarezza.
Oggi faccio ginnastica anche io sbirciando quella della finestra di fronte.
Nei momenti fitness indossa un completino che la rende ancora più perfetta del solito. Come fosse in eurovisione, esegue i suoi squat giornalieri.
Mi metto a specchio davanti a lei cercando di farle capire che la sto seguendo, che è diventata il mio personal trainer casalingo.
Lei non volge mai lo sguardo dalla mia parte, fissa invece un punto nel vuoto perché è il modo più corretto per svolgere l’esercizio.
Veniamo interrotte dalle grida del vicino di sopra.
È un insieme di lacrime e le bestemmie.
Salgo e gli suono al campanello.
È un po’ spaventato, ma gli dico che non deve aver paura.
Che l’idea di uscire terrorizza anche me.
Ma non potremo sapere che sarà.
Che sarà, che sarà, che sarà, che sarà della mia vita chi lo sa.
Forse tutto, forse niente, da domani si vedrà..
Quando mi rendo conto che sto cantando a squarciagola la parte della moretta de I ricchi e poveri sul ballatoio di casa, è troppo tardi per smettere.
D’improvviso, come in un film, gli dico che devo andare, da troppi giorni non piove e le mie piante hanno bisogno di me.
Sono felice perché sembra tornato di buon umore.
Affronto il viaggio verso l’attico.
Decido di prendere un autobus.
Vuota, la carcassa del 20, sembra un pezzo di un brutto gioco per bambini.
Arrivata. La salita non solo è deserta, ma anche buia.
In quella strada, dopo una certa ora, spengono i lampioni perché non esca nessuno.
Sembra la casa delle streghe ai baracconi, più che somigliare alla via dell’attico.
Appena arrivata sul mio terrazzo, i ciclamini, le violette, le belle di notte, la gardenia, i gelsomini, le rose, i gerani, gli ibiscus, persino i cactus mi travolgono con la loro fioritura.
La primavera sembra brindare alla faccia nostra e del virus.
Dopo aver religiosamente bagnato, mi precipito a cercare la scatola.
Non voglio guardare le sue cose e nemmeno le mie.
Mi fanno più paura
delle persone con le mascherine,
del mondo diventato nave fantasma,
delle bestemmie e delle lacrime del vicino
e sicuramente anche del virus.
Voglio solo quella scatola anche se non l’aprirò mai.
Mi viene in mente un termine che avevo imparato alle elementari e che avevo rimosso.
Allora non sapevo né cosa, né come fosse fatto.
Faceva parte del programma di geografia di una quinta elementare milanese di tanti anni fa, in cui si parlava di Lombardia e pratiche agricole.
All’esame mi chiesero proprio quello.
Naturalmente non lo ricordai e mi abbassarono da ottimo a buono il giudizio dell’esame finale.
Uscita da lì, imparai a memoria la risposta esatta per non dimenticarla più.
Mi chiesero come si chiamasse la messa a riposo di un appezzamento di terra per restituirgli fertilità.
Ora, avrei risposto: pandemia.
Penso che la situazione in cui si siamo trovati, se non fortificherà l’essere umano, come dicono molti, lo avrà fatto riposare come fosse un terreno per renderlo di nuovo fertile.
In quell’esatto momento sento la chiave che gira nella toppa e mi metto tra i fiori del terrazzo.
Mi troverà lì con la sua scatola.
Come maggese.

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