Ti voglio bene Cri!

criPiù vado avanti e più mi sembra che il mondo si divida. Se vai al circolo culturale o al cineforum trovi delle persone, se vai a ballare in una discoteca tamarra ne trovi altre. Il problema è che non si incontrano mai, mentre la mia serata ideale comprenderebbe entrambe. Per questo adoro i posti come i Karaoke, perché trovi di tutto. La mia playlist preferita nell’ IPod comprende i concerti Brandeburghesi di Bach e Baby one more time di Britney Spears. Gli iati mi stimolano. Ma se questo potrebbe sembrare un sogno, l’altra sera in piazza Matteotti è divenuto realtà grazie a Cristina D’Avena. La folla era un vortice. Le persone non solo provenivano delle più svariate estrazioni culturali, ma erano anche diverse per età e generazione. Come quelle giostre del luna park in cui, mentre si va su è giù, si girano contemporaneamente anche le sedie a cui si è incollati. Ognuno trovava il proprio spazio, la propria canzone, la sigla del cartone da cantare insieme a Cristina.
Johnny è quasi magia, che quando è uscito io ero già indecisa tra i cartoni e le telefonate alle amiche, la cantava infatti, un ragazzo poco più giovane di me. Mentre la gridava sembrava ricordare tutte le volte che da bambino diceva di aver finito i compiti e il nonno gli portava la focaccia davanti alla tv. Anche se non era vero, la mamma non doveva saperlo.
Robin Hood che non avevo mai sentito e che per me è solo “Urka urka trillulero” cantata da Cantagallo, la accennavano timidamente una diciassettenne col fidanzato. Era il loro pezzo e si sono abbracciati.
Siamo fatti così. Dietro, fuori dal casino, c’erano due genitori con un bambino piccolo. All’inizio del brano hanno cominciato a scatenarsi, mentre il figlio li guardava stranito. Sembravano aver dimenticato la tassa del mutuo, lo spesone del fine settimana alla Lidl e che, a vacanze quasi finite, l’indomani avrebbero dovuto ricominciare la solita routine.
Occhi di gatto. Questo ragazzo le sapeva veramente tutte. Il leader della compagnia, quello che fa ridere e ballare tutti, con la bottiglia di prosecco in mano da bere a canna con gli amici. Chissà quante volte, ha fatto così anche in discoteca. Al “Tre ragazze bellissime” che tanto aspettavamo entrambi, ci siamo abbracciati, ho bevuto a canna anche io e ci siamo augurati buon anno.
Mila e Shiro. Catapultata nel passato. Ho 13 anni e sto guardando Bim bum bam. C’è Bonolis che non ha ancora svaligiato la Rai col Sanremo 2009, ma già mi piace. Mentre c’è la sigla sogno di vincere i campionati mondiali di pallavolo. Inutile dire che alle medie in educazione fisica avevo un 6 raggiunto a fatica e il mio Shiro, che era il fratello della mia amica, non mi ha mai notata.


Via col vento nella notte di Natale

viaDal 23 dicembre al 7 gennaio il palinsesto televisivo regala come Babbo Natale. Sette spose per sette fratelli, Colazione da Tiffany, Gilda. Se il periodo incrementa terribilmente anche le depressioni più lievi, almeno in televisione è come se fosse sempre notte, che se per alcuni è il momento dell’amore, per me è quello della visone del piccolo schermo. Il 25 dicembre Rete Quattro ha superato se stessa programmando alle 20.30 Via Col Vento. La storia la conosciamo più o meno tutti. Rossella O’ Hara è una ricca possidente terriera e ha splendidi occhi verdi. Malgrado la vogliano tutti i ragazzi della zona, lei è fissata per un tale Ashley Wilkes che però ha intenzione di sposare la sua santa cugina Melania Hamilton. Annunciato il fidanzamento dei due, Rossella si gioca la carta del dichiararsi ed Ashley le sfodera il primo di una numerosa serie di due di picche. Lei, che ha un caratterino bello vivace, dopo il rifiuto scaglia un vaso contro il muro. Nascosto dietro al divano c’è il noto e scaltro avventuriero Rhett Butler, che dopo aver assistito alla scena si innamora pazzamente di Rossella occhi verdi. Malgrado i due si somiglino molto, o forse proprio per quello, lei naturalmente non ne vuole sapere. Nel frattempo scoppia la guerra d’Indipendenza, in cui, come sostiene Rhett, gli stati del Nord sono iperfavoriti per armi e navi da guerra. Dunque da una parte la disfatta del Sud, la povertà e il tifo. Dall’altra il crollo del sogno d’amore di Rossella che, malgrado abbia perso tutto, se la cava sempre, si sposa tre volte e cade comunque in piedi fino alla mitica frase, divenuta filosofia di vita: “Ci penserò domani, domani è un altro giorno.”
Da un film così, visto con mamma e papà la notte di Natale, si imparano tante cose.
1) Amare esageratamente un uomo, in particolare se non si è neanche accorto della tua esistenza, è molto pericoloso. Intanto lo idealizzi. Poi ti devi dichiarare, che è sempre un errore. I maschi hanno bisogno della sfida, per questo vanno a caccia e a pesca. Se si trovano una bestiola morta davanti, viene a mancare la magia del rincorrerla ore nei boschi insieme, bevendo birra e mangiando fagioli a meno quattro gradi. Malgrado il risultato sia lo stesso, se non hanno cacciato la preda personalmente, smarriscono anche la passione. Quando li vogliamo a tutti i costi, perdiamo fascino ai loro occhi, in più diventiamo insistenti e non siamo più oggettive. Loro poi, danno tutto per scontato. Ashley, in particolare, visto dall’esterno non vale neanche la metà di Rhett Butler. È uno di quegli intellettuali senza attributi, non sa neanche lui cosa vuole, ama Melania tutta santa, ma ogni volta che Rossella lo inchioda al muro, la bacia.
2)  In amore vince chi fugge. Rhett ama Rossella, che ama Ashley, che ama Melania.
3) Certe passioni non possono realizzarsi. Ci si vuole bene tutta la vita, dimostrandosi il contrario. Non si riesce né a stare insieme, né separati, tantomeno a consapevolizzarlo. A volte perché si ha tutti e due un brutto carattere. A volte per problematiche maggiori. Ma la magia del sentimento è anche questa.
4) Pensando a Melania  non è detto, anche se sembra, che più si è buone e più si è sfigate. Questa signorina, che è dolce come la melassa, sembrerebbe non portare a casa niente di buono. Di salute è estremamente cagionevole, mette al mondo il primo figlio e deve attraversare il culmine della guerra d’Indipendenza per sopravvivere, ha sempre tra le scatole Rossella che è molto più bella di lei e che attenta al maritino. Infine muore giovane. Però Ashley la ama. O comunque, come molti uomini, non ha il coraggio di mollarla.
5) Non devi mai sottovalutare un uomo che ti desidera intensamente. Soprattutto se è bello, ricco e sexy come Rhett Butler .
6) Se non hai i soldi per un vestito, piuttosto che andare trasandata ad un appuntamento, ci sono sempre le tende del salotto. Con quelle, Rossella, ha confezionato forse il più bell’abito del film. Merita di essere citato anche quello bordeaux con cui va alla festa a casa di Melania.
7)  Quando non hai più niente, ti rimane sempre la tua terra. Tara o Cusago Milanino che sia.
8) Se non c’è gioco e lotta, non c’è passione. Basta leggere questi dialoghi:
Rossella: “Voi non siete un gentiluomo” Rhett: “E voi non siete una signora. Non è un titolo di demerito: le signore non mi hanno mai interessato”
Rhett: “Di una cosa sono certo: Che vi amo, Rossella! A dispetto vostro e mio, e a dispetto dello stupido mondo che vi crolla intorno, vi amo. Perché siamo uguali: gentaglia tutti e due, egoisti e scaltri, ma capaci di guardare le cose in faccia e chiamarle col loro nome.”
Comunque quel che conta è l’amore, di tutto il resto “Francamente me ne infischio”


Sotto l’albero di Via Venti al 20

20151220_192054Come ogni anno scrivo la letterina di Natale per poi riporla sotto l’albero della portineria di via Venti. Se non ci credete alzate il pacchetto blu in fondo a destra.
Caro Gesù Bambino,
quest’anno mi sembra di essere stata molto buona, ho infatti:
Accettato delle supplenze di pochi mesi e quindi prive dell’importantissima arma dello scrutinio finale. Queste mi hanno obbligato a sopportare gesti ed azioni criminali da parte dei ragazzi. Se ti fossero sfuggiti dall’alto, che sarai molto impegnato, ecco due momenti indimenticabili.
L’anti attimo fuggente in cui tutta una classe terza ha messo la testa sul banco per evitare di eseguire i compiti assegnati dalla sottoscritta.
L’assalto alla focacceria durante l’uscita didattica. Alcuni di loro, vedendomi scoperta in coda alla fila e senza colleghi testimoni, si sono intrufolati in una panetteria pregando le signore di comprargli della focaccia. Ho dovuto trascinarli fuori a forza con le clienti che mi guardavano come fossi un mostro con quei poveri bambini affamati.
Preso la terza laurea in musicoterapia e speso relativi 200 euro di confezionamento abito su misura.
Tenuto via Venti molto più in ordine. A proposito, rispetto a questo vorrei ricordarti che con una mini lavastoviglie supererei quel volgare compito del lavare i piatti che “a volte” rimane ancora incompiuto.
Fatto almeno 10 giorni di fioretto in cui non ho toccato alcolici. Tralascio il particolare che il voto è stato attuato dopo che quella sera ho un po’ esagerato coi Cocktail Martini, ma trovare un egregio barista è ormai così difficile…
Perso qualche chilo dato che ho frequentato la palestra 3/4 volte a settimana. Molto ha fatto la presenza di Luis, pugile latino americano con il quale mi allenavo quasi quotidianamente con grande dedizione e gioia. Inutile dire che aveva molto del Dio Apollo.
Penso dunque di meritare questi semplici pensieri.
Un poeta tutto per me. Però, caro Gesù Bambino, perché vada bene è importante che abbia queste caratteristiche: fornendogli un tema, per esempio la luna, dovrebbe avere una certa autonomia di brani sia della tradizione che scritti da lui. In più lo vorrei anche in grado di recitarli ed interpretarli per me, la sua musa.
Dalle 9 alle 12 ore di sonno ogni notte, per il mio buon umore e affinché la mia pelle rimanga sempre giovane e bella.
Una supplenza fino al 30 giugno, di musica possibilmente, con orari decenti ed un basso numero di teppisti in classe.
I capelli meno sfibrati, senza tagliarli naturalmente. Sai che mi crescono poco.
Che Ventialventi raggiunga le 500.000 visualizzazioni e mi porti a scrivere il primo romanzo edito Feltrinelli, Einaudi o, al massimo, Mondadori.
Un aiuto a perdere ancora qualche chiletto che sicuramente è di troppo, sempre grazie ad un valido personal trainer, a patto che abbia le caratteristiche del sopracitato Luis.
Penso che per quest’anno possa bastare. Come sempre non vorrei chiedere troppo e togliere ad altri bambini, magari meno fortunati di me.
Ringraziandoti anticipatamente,
Tua
Francesca Lorusso detta anche LaMinaVagante


Io rischio tutto

13606918_10153893663612695_3277986200308923614_n“La chiamata ti raggiunge col Pec”, mi disse un docente affermato. Chissà perché mi aspettai subito un bel pacco dono della famosa rosticceria milanese con annesso biglietto: “Professoressa Lorusso questo è per lei, benvenuta e tanti auguri per il suo servizio. Il Preside”. In realtà significa che devi stare molto attento alle mail perché te lo comunicano lì se c’è una convocazione per una supplenza annuale. Se vuoi star certo devi avere il Pec, ovvero la mail certificata, una sorta di raccomandata con ricevuta di ritorno. Io, che nella vita ne facessi mai una giusta, ho aspettato a comprarmi uno Smartphone e andavo tutta fiera che sarei stata l’ultima ad averlo. Se uno fa il radical chic prima o poi la paga. Chissà quante ne ho perse di chiamate, così. Solo con lo smart hai una notifica dell’arrivo delle mail: una vibrazione, un fischiettìo, un accenno di Lambada. In caso contrario, se non è tuo uso guardare quotidianamente la posta, la convocazione può stanziare anche dei mesi senza che tu la veda, pensando che sia l’imperdibile offerta “Prenota la tua visita ai cetacei nel mar ligure con marinaio, gozzo e bicchiere di Champagne a soli 120 euro invece di 300.” Novembre scorso mi doto dunque di smart e aspetto. La prima mail che arriva sono certa di essere presa e danzo felice nella mia stanzetta. Poi come nei migliori contratti noto la postilla “al fine di consentirle una valutazione di massima sulla possibilità di nomina la informiamo che questa convocazione interessa i seguenti aspiranti”e poi una lista infinita in cui io sono solo un nome a metà con un numero vicino. Non ci bado, son quelle cose della privacy, penso. Parla di possibilità di delega ma non complichiamoci la vita, chissà come si fa, le mie tre lauree non bastano certamente. Vado. Inizia la caccia al tesoro: trova la scuola. Vai su Google Maps, cerca percorso, cerca autobus, cerca orari, calcola, ricalcola. Ora prova a vedere se su Google Earth si capisce di più. No. Le scuole medie sono imbriccate, imbriccatissime. Per me che sono padana e contemplo solo la dimensione piana imbriccaterrime. Meglio, mi hanno detto che se la scuola è in montagna si prendono più soldi, chissà se è vero, sembra una prova ricompensa all’Isola dei famosi. Chiedo a tutti quelli che incontro dove sia: dall’edicolante al barista fino al tabacchino. Ormai mi conoscono e sono già l’argomento del giorno al bar della zona. Entro nell’edificio. Vedo una fiumana di gente. Subito penso ci sia una festa, forse un po’ presto alle otto del mattino, quindi sarà una riunione di genitori, una conferenza o un corso di aggiornamento. No è il popolo della terza fascia, l’esercito dei supplenti. Donne, uomini, giovani, anziani. Alcuni chiacchierano, altri zitti mentre pregano che sia la volta buona. Una aspirante ha il suo chihuahua nella borsa. Ci sono anche quelli che portano le deleghe: madri nervose, mariti che son scappati dal posto di lavoro dicendo che andavano a prendere un caffè, sorelle e fratelli devoti, fidanzati innamorati, amici veri. In questo infinito brusio puoi fare conoscenza, forse anche innamorarti, ma sicuramente desiderare che quello prima di te non accetti. Certo c’è la graduatoria, ma come le liste delle discoteche, a volte può non significare nulla. Mi è capitato infatti di avere 100 persone prima ed essere in testa o di averne solo una davanti che firmava senza un’esitazione. Si passa alla fase senza ritorno: la convocazione dal preside per gruppi, piccoli o grandi a seconda della quantità di gente. Il dirigente stringe la lista nelle mani e ad uno per uno pone la mitica domanda. Fino a quando, se sei fortunato, non tocca a te: “Professoressa accetta?” In quel momento ti passa davanti tutta la vita. Nel mio caso la prima terzina a solfeggio, il primo sette ottavi, il sorriso di mia mamma, il primo bacio sulla passeggiata Europa e quando mi son detta vorrei insegnare. Ma sono 8 delle 18 ore totali e poi si può andare solo a completamento, essendo un incarico fino al 30 giugno. A quel punto cerchi di calcolare se la scuola dopo ti chiamerà e per quante ore. Neanche la combinazione vincente della roulette del casinò di Sanremo ti aiuterebbe. Arriverà una chiamata della tua materia? Magari una maternità? Certo meglio di una malattia, che sembra colpa tua se quella di ruolo non sta bene ed invece dispiace anche a te. Ti conviene prendere? O come direbbe Mike Bongiorno rischiare tutto attendendo la prossima chiamata? Ecco, come nella vita, io rischio tutto. “Ma così può perdere punteggio Professoressa”, suggerisce gentilmente il Preside.
Lo so, ma io rischio tutto.


Non serve molto per concedersi un lusso

deluxe-nataleIl pranzo del 25 lo preparavano i volontari. Per il 24 invece c’erano a disposizione 10 euro a testa, un regalo della Madonna ci avevano detto, con cui gli ospiti del dormitorio potevano far la spesa. Avevo letto e riletto il volantino coi prodotti Deluxe arrivato in parrocchia, li conoscevo a memoria e volevo creare il menu perfetto.
Entrè: tartine col Capelin Caviar, uova di mallotto ad 1.99. Non me lo figuravo quel pesce, né la forma, né in che mari vivesse e malgrado le zone wifi della città, il cellulare che mi avevano dato le suore era troppo vecchio e non si collegava. Avevo aggiunto oltre al pane per tramezzini che costava 1 euro, le patate Duchessa surgelate a 0.99, croccanti fuori e tenerissime dentro, che vanno a braccetto con il pesce e le carni bianche diceva il volantino.
Primo: Gnocchi ripieni scamorza e radicchio ad 1.99 da condire al burro, il grana non ero certa di riuscire a farcelo stare.
Dessert: Tortine al cioccolato a 1.79 che dato che non avevo il forno dalle suore, avrei messo sul fornello elettrico due pentole una sopra l’altra in modo da sciogliere e riscaldare il cuore tenero di cacao.
Però dovevo trovarlo il Lidl di Albaro che quella zona per me era proprio sconosciuta. Non c’erano parrocchie lì per quelli come me. Forse ci stavano I poveri ricchi, come nel film di Pozzetto. Fermai una macchina che si avvicinava lentamente, come lentamente abbassò il finestrino il suo guidatore. R moscia e sguardo da nobile, un po’ spaventato del mio disturbare, mi disse che il Lidl era nei dintorni, non voleva figurare maleducato, ma era chiaro che lui non ci fosse mai stato. Quando vidi la Volkswagen andarsene, per un attimo mi sentii sola. Uscendo dal super andai rapida alla fermata che poi mi scadeva il biglietto, doveva far parte dei 10 euro stipulati da suor Lisa per quel regalo di Natale. Scesi in via Venti che avevo superato i 100 già da 5 minuti. Alla fermata davanti al Mc Donald erano saliti due della AMT, per fortuna si erano fermati innocui a ridere e chiacchierare col guidatore. Malgrado la mia condizione, sono una signora e non c’è niente di più brutto che litigare con l’autista quando tutti ti guardano. Il sacchetto bio da 20 centesimi non pesava. Decisi di andare ancora a fare un giro per San Vincenzo e godere un po’ dell’atmosfera pre-natalizia. Poi dovevo risolvere il problema del bere, un Natale senza alcolici non era festa, ma certo non lo si poteva dire a suor Lisa. Avevo tempo per trovare una soluzione, era solo l’Immacolata, mi ero portata avanti con la spesa perché non volevo rischiare che le offerte finissero, tanto la madre superiora aveva un bel congelatore.
Mi trovavo proprio in piazza Colombo quando vidi due signori sui 60 anni mano nella mano, di quelli che si amano tanto da somigliarsi quasi. Lei lunghi capelli castani curati e belli come li hanno solo le ricche signore. Lui occhi azzurri come il golf di cashemire che portava. Gli donava molto quel pandant. Tra di loro un sacchetto marrone con quel marchio francese unico ed elegantissimo. Dentro si intravedevano due scatole grandi che contenevano borse così preziose da valere come tutto il Lidl o ancora di più. Si accorsero che li guardavo. Vidi i loro pensieri, la figlia che non avevano avuto e che io sarei potuta essere. Fu in quel momento che ebbi l’idea ed entrai. La mia più grande passione al mondo erano i profumi. È curioso per una barbona lo so, ma non ci si nasce barbona. Inoltre più non puoi avere una cosa e più la desideri: è la legge dell’amore. Mi mettevo spesso a far la carità proprio dall’altra parte della strada per godere del profumo che usciva da quella bottega. La commessa, di un biondo freddo e dai capelli corti, era preparata come poche sanno esserlo. Amava il suo lavoro e aveva la capacità di saper trovare la fragranza giusta a chi entrava, tanto che poi usciva contento. La studiavo dalla vetrina e sognavo di portare i capelli come lei.  Entrai e, tenendo sotto al fazzoletto da naso le patate duchessa un po’ ammorbidite e a forma di Colt, le dissi di stare zitta, prendere la borsa più grande che aveva e riempirla di quello che le avrei detto. Lei, come ipnotizzata, fece quello che le chiesi. Quel profumo da barba mi inebriava dando adito alla follia che stavo facendo. “Partiamo da Guido, il napoletano che stanzia da Mc Donald col cane e la chitarra. Mi prepari tutti gli accessori da barba Omega: crema, pennello, rasoio e lozione. Mi fa un bel pacchetto, rapida come non è mai stata. Lo stesso nome del negozio è un omaggio alla classe di certi napoletani, e allora, non è contenta? Poi passiamo a un profumo per Mario, quello che dorme sotto i portici di Via Venti, per lui cosa suggerisce?”Lei zitta e spaventata. “Cosa?!!!” Ripeto gridando. “Lo ha visto di sicuro, è sempre lì con la coperta rossa che sta inginocchiato, che fa meno freddo a dormire così.” “Ho capito” dice lei, “data l’eleganza naturale del signore, proporrei una fragranza vivificante come Juniper sling di Penhaligon’s London. C’è anche il doccia schiuma.” “Impacchetti”, dico. “Poi c’è la donna dell’Est, quella che grida, chi non l’ha sentita a Genova? Voglio una fragranza che sappia lenire la sua sofferenza.” “Certamente un prodotto dell’Artisan Parfumeur, proporrei Zing, qualcosa che a che fare con animalità e circo, al limite tra sogno e realtà”. “Molto bene, così la voglio. Poi prepari dei regalini. Per tutti quelli che vengono in dormitorio il giorno di Natale, mi riempia la borsa. E infine qualcosa per le suore, semplice ed un po’ maschile, se no non lo mettono.” “Certo, la linea da bagno più naturale che ho, quella di Eau d’Italie Le Sirenuse Positano. Le faccio sentire Acqua Decima, per esempio, a base di Neroli e menta”. “Perfetto, me le metta tutte. Tutte, ho detto. Ora vado, è stata brava, è sempre brava. Buon Natale.”
Non feci in tempo ad uscire che già mi buttarono giù. Doveva avere un allarme digitale per chiamare i carabinieri sotto al bancone. Ancora intrisa di quella fragranza menta e neroli feci in tempo solo a dire: “Mettete in freezer i prodotti Deluxe, se no si rovinano”


Che notte, quella notte degli scrittori!

noote scrittoriC’è un segnale che mi fa capire quando sono innamorata. Sempre lo stesso. Niente campane da commedia anni ’40. Niente mancanza di appetito, che anzi se amo mangio più decentemente. Per non parlare del sonno che mi passa sempre e comunque. Magari, fosse solo da innamorata. Il segnale, chi è stata una mia preda lo sa, è leggere ad alta voce.


Sopra e sotto il divano

20151106_202742Sopra
Il 2005 e Genova, per me, erano nuovi di zecca: un lavoro, un amore, una casa tutti da arredare. “Lo voglio rosso il divano, mamma e papà, ma dell’Ikea. Che di più non posso.” Non avevo neanche le posate, solo Ektorp, ma il fidanzato era sempre là sopra con me. Me lo vedo con la luce delle candele, ma è un ricordo finto, di quelli fatti d’amore. Così rosso non era mai stato, neanche il giorno dell’acquisto. Ci tenevamo sempre le mani su quei cuscini e diventavano bianche da quanto erano strette. Poi il lavoro a Milano, il trasferimento. Sul mio sofà cominciarono a piazzarsi gli inquilini. Prima un lui che aveva amici rumorosi, dice il vicino di sotto, tanto che una sera è salito e li ha minacciati: che io son bravo e buono, ma la mattina mi sveglio alle sei, gli ha detto. Poi un’inquilina che aveva una cagnolina rompiballe. Dice sempre il vicino di sotto che non smetteva mai d’abbaiare, tanto che una sera è salito e l’ha minacciata: che io son bravo e buono, ma la mattina mi sveglio alle sei, le ha detto.
L’agenzia milanese fallì, portandomi di nuovo a Genova. Il canapè era destinato alle lezioni di canto. La gente mi diceva: “Ma tu dove dormi?”Ed io, rispondevo: “Qui”. E loro, testardamente:“Così o si apre?”
Colazioni, pranzi, cene tutte servite sulle sedute. Il tavolo è sempre stato troppo incasinato per queste cose.
Il morbillo d’agosto, i quaranta gradi, il prurito e la difficoltà a respirare, il borotalco sul rosso velluto.
La sera ci si versava sopra bourbon whisky, confessioni e baci. La gente arrivava e piangeva proprio là, non so perché. Così le macchie si confondevano, univano e pulivano da sole.
Poi, alla supplenza, si trasformò definitivamente in letto, come se non si chiudesse più. Tanto non ci entrava nessuno in casa con gli orari che facevo. Andavo a dormire alle venti e mi svegliavo alle sei, come per andare a ballare riposata. C’era tanto spazio: il flauto, i libri di storia, i fazzoletti di carta, il cellulare, le tazzine di caffè.
E poi l’ultima estate: il caldo afoso, la terza laurea, la televisione 50 pollici, la serie Mad Man, Uomini e Donne della De Filippi. Tutto sempre lì sopra.
Le doghe, già Ikea, dal troppo uso, si sono piegate, rotte, abbassate, il rosso sbiadito, il materasso mangiato da un amante, dicevo. Tanto che negli ultimi giorni ho provato a dormire dalla parte dei piedi, ma mi incriccavo ancora di più.  Male al cuore sommato a quello della schiena la mattina è un disastro. Tanto che l’altro giorno il divano è andato via nelle braccia forti di papà e Mario, il portiere di via Venti n. 18.
Ecco l’elenco di quello che c’era
Sotto:
………, ………,…………,……………,…………,…………,……………,………,…………,………………,……………,……………,……………,………………….
C’è voluto molto più di una ramazzata per raccogliere tutto.
Le perle, di un filo che si era spezzato cadendo, rotolavano sul pavimento come un cappello nel vento.
È arrivato un nuovo divano. Ora, potete indovinarne il colore.


Monsieur Brassaï, la porterei al karaoke di Brignole

12255768_1238470999502504_1083023145_oCi siamo conosciuti ieri, Monsieur Brassaï. Dobbiamo ringraziare il Sig. Borzani, presidente della Fondazione Palazzo Ducale, che, dopo quello che è successo a Parigi venerdì, ha disposto l’apertura gratuita della mostra a lei dedicata. Se no io avrei aspettato fino all’ultimo e come ho già fatto con Expo, mi sarei svegliata una mattina convinta di andare ad un’esposizione già finita. Un giorno forse è poco, ma mi sembra già di conoscerla. Dato che il suo vero nome è ungherese ed impronunciabile, per me sarà Brassaï e basta. Anche se siamo nuovi, abbiamo già molte cose in comune. Ieri, durante la mostra, mi ha accompagnato nella sua notte parigina. Nel buio ho visto passaggi particolari tra la città e l’altrove. La nebbia era fitta e rendeva tutto surreale, anche quando veniva tagliata dalla luce dei lampioni, dai fari delle automobili e dai bagliori delle sigarette. La gente della notte, come cantava Jovanotti, da lei ritratta a Parigi pare la stessa che incontro io a Genova. Persone così differenti da quelle che vivono di giorno, da appartenere ad un’altra razza. Un’umanità che fa crollare pregiudizi, chiacchiere, dove tutti hanno lo stesso valore, poliziotti, infermieri notturni, guardie, prostitute, balordi. Dove non bisogna bucare lo schermo per piacere. Dove il ladro canta con il poeta. Dove qualche bicchiere in più sottolinea il lato magico delle cose. Ora tocca a me. Stasera vorrei portarla sotto i portici di via Venti e camminare insieme per farle fermare il mio mondo con le sue fotografie. E se lei viaggiava per i cabaret di Montparnasse e nelle balere di Rue de Lappe tra membri dell’alta borghesia e artisti, io la porterei al karaoke di Brignole. Vorrei che immortalasse tutta la bellezza, tutte le storie e tutta la musica che vivono là dentro. Poi potremmo girare i vicoli più bui: salire e scendere tra ciottolato, sputi, prostitute, protettori, bande e malviventi. Fino ad arrivare ai clochard che dormono sotto i portici, mentre i lavoratori del mercato del pesce sono già in piedi. Domani a pranzo, vorrei mostrarle la mia Genova de Jour. Lei ha omaggiato la capitale francese alla ricerca delle cose banali: le stesse che piacciono anche a me perché straordinarie nella loro semplicità. Ha ripreso pescatori sulla Senna, traghettatori, giardinieri sull’albero, venditori di giornali. Si è soffermato nel Jardin de Luxemburg tra infanzia ed anzianità. Io partirei dal parco dell’Acquasola, dove le offrirei un caffè davanti alle rose del giardino d’inverno. Poi la porterei col 31 a Boccadasse a mangiare acciughe e vedere la vita del borgo: la vendita del pesce sul gozzo, quelli che in pausa pranzo prendono il sole, gli anziani che litigano di Genoa e Sampdoria. Forse a Genova, rispetto a Parigi, mancano solo i baci davanti a caffè e sigarette. Quegli amanti che lei triplica negli specchi angolari come per dimostrare che l’amore rende di più e più grandi. Ma sono certa che per il suo sguardo, magari agli Specchi, una coppia innamorata si sta già stringendo le mani furtivamente. 

 

 


Il flauto magico di Mozart secondo la Minavagante

flautoTamino è un giovane ingenuo, romantico e coraggioso, ma così demodè da innamorarsi di una che ha solo visto in ritratto. Che si sa, come per la foto del profilo di Facebook, non è detto che sia sempre aderente alla realtà. Conosciamo il ragazzo mentre è alle prese con un serpentaccio, quando tre dame certamente single non perdono l’occasione di salvarlo. E via di complimenti: “Come sei bello, come sei forte….” che, anche uno come Tamino, è a rischio narcisismo. Arriva Papageno, uccellatore e aiutante del protagonista che si presenta già ribadendo quanto siano racchie le dame e quanto vorrebbe, invece, una ragazza carina tutta per sé. La simpatia nei suoi confronti è immediata anche solo per il fatto che è molto più interessato al vino, ai fichi e alla ricerca della sua Papagena che alla virtù e al coraggio. Uno così, fuori dall’Egitto fiabesco di Mozart, avrebbe quantomeno una fidanzata ufficiale e sicuramente diverse amanti. Le donne impazziscono per quelli che le fanno ridere. Le tre zitelle, che vogliono qualcosa in cambio, portano i due dalla loro capa, la Regina della Notte. L’Astrifiammante fa da subito un’interpretazione da Oscar nella parte della madre addolorata. “Se trovi mia figlia, rapita dal malvagio Sarastro, avrai la sua mano.” E qui il mammalucco crede a tutto convincendosi di salvare Pamina e di sposarla. Fosse così facile nella vita, che manco dopo nove anni di convivenza gli uomini prendono qualche decisione a riguardo. In più la Regina con la notte dentro, il vestito, il trucco e tutto il resto, non sembrerebbe buona neanche ad un cieco, ma lui ha già lo sguardo da triglia dell’uomo innamorato e non si accorge di nulla. In realtà la regina è cattiva e Monostatos buono. Lo stesso re svela a Tamino la verità e gli dice che se vogliono entrare nel suo regno lui e Papageno dovranno purificarsi superando tre prove. Per aiutarli, come in un buon manuale di musicoterapia, vien consegnato a Tamino un flauto e a Papageno un glockenspiel (strumento natalizio con campanelli) che hanno poteri magici e che li tolgono dai guai. La prima e più importante è la prova del silenzio. La regola è non parlare per nessuna ragione al mondo. Non so voi, ma penso che i miei problemi partano del fatto che non l’ho mai superata. Tantomeno con un uomo. Lui è così bravo che malgrado arrivi Pamina con gli occhi a cuore a chiedere conferme d’amore, non risponde. Dato il silenzio la poveretta ci dà di matto e s’impunta ancora di più. In questo momento dell’opera mi identifico particolarmente: è successo a tutte che uno ti ama e ti adora e poi svanisce nel nulla senza neanche una parola. Secondo eccellenti manuali del calibro di:
Io non soffro per amore, Tu lo fai girar, Falli soffrire 2.0, Come entrare nel suo cuore senza uscire di testa, Dimentica i due di picche e diventa asso di cuori…
Lei, per logica, dovrebbe lasciar stare fino a quando non si fa sentire lui. Pamina, come ogni donna che si rispetti, invece medita il suicidio. Ma per fortuna non siamo nella realtà e qualcuno di magico l’avverte che Tamino non è uno stronzo, ma non le parla per superare le prove. Da lì è in discesa: i cattivi verranno fatti sparire dallo tsunami e presto i due si ricongiungeranno per entrare nel Tempio del sole, che fa un po’ Albano Carrisi. Mentre cantano qualcosa sugli dei che portano fortuna a quelli che si amano, un senso di speranza arriva anche a noi grazie ad un bacio davanti al sole infuocato che neanche nel finale di Via Col Vento.

 


Non toglietemi Playboy!

play

Il logo delle conigliette

Oggi tutto è catalogabile, basta andare su internet e cercare.
Una canzone? YouTube.
Una borsa griffata?Privalia.
Una ricetta? GialloZafferano. Una serie? ItaliaSerie.
Una scena di sesso? YouPorn.
Però non ha sempre funzionato così. Una volta c’era solo Playboy.