Cosa rimane della Festa della rete?

20150912_160437“Maestro, da quando ha cominciato a capire che nei piatti doveva togliere e non mettere?” “Da sempre” risponde Gualtiero Marchesi alla giornalista della Festa della rete. Il rimpianto di essermi persa l’intera intervista, incantata da due sirene che truccavano da Pin up, è la prima cosa che mi rimane di questi tre giorni riminesi.
Nella postura spero mi rimanga la camminata delle donne, sempre pronte ad un vitellone che da qualche parte sta ammirando il loro posteriore mentre percorrono km di spiaggia. Io abituata ai sassi, alla mancanza di spazio e alla famosa intraprendenza dei liguri che è quasi come la torta di riso. Finita.
Nelle orecchie ho ancora le grida dei teenagers per i loro vlogger preferiti. Ma non per il casino, che io facevo anche peggio a quell’età dato che ero groupie di Fiorello. Il fatto è che questi impazziscono perché i loro miti, essendo come loro, sono la prova che chiunque può diventare famoso in un odioso Talent-mood.
Negli occhi ho la parete dell’Embassy, la location più bella dell’evento. Mina, Dorelli e la Vanoni dalle foto sul muro hanno osservato per tre giorni il popolo della rete. Loro che si erano esibiti nello storico locale in quanto star dell’epoca scorsa, dall’alto sembravano domandarsi cosa ci facessero lì blogger ed instagrammer timidi e geniali.
Nel cuore è rimasto il punto interrogativo sulla testa di mio padre alla parola Hashtag e il meritato riposino di mia madre durante la premiazione delle 36 categorie Mia. Malgrado la loro volontà, continuo a condividere quello che amo con loro fino a questo punto.
Poi c’è Martina dell’Ombra, ma questo merita un post a parte. Porelli voi.
Quando c’è troppo bisogna cominciare a togliere. Non solo nel piatto o nel blog, ma anche nella vita. Proprio come ha sempre fatto il Maestro Marchesi.