Sogno barocco

cameriereMi svegliano le note della Suite in Si Minore, Badinerie di Bach.
Ma quando l’ho impostata come sveglia?
Volevo cambiare suoneria da un po’, ma credevo di non esserne capace.
Le acrobazie che l’esecutore fa con questo flauto sono incredibili e le pause per i respiri così brevi che mi viene voglia di danzare per via Venti come un uccellino indemoniato.
Ma mi guardo attorno ed è tutto diverso: così prezioso, anche nei dettagli.
Il mio letto non è un divano, ma un baldacchino, pieno di pizzi, fiocchi e sono avvolta in lenzuola di lino bianco.
Vedo subito una giovane donna dai capelli rossi e la pelle avorio che mi sorride dicendo:
In fretta Signora, è molto tardi. Come al solito ho dovuto promettere vino e cioccolata ai musicisti perché pazientassero a svegliarla almeno di mezz’ora. Ma ora si deve preparare, il Conte la sta attendendo nella sala”
Una cosa è chiara, finalmente ho un’assistente personale. Il mio sogno più grande. Voi non vi rendete conto quanto sia difficile occuparsi di un guardaroba come il mio.
Tenerlo in ordine, pulito, stirato, far respirare gli abiti, provare abbinamenti, apportare modifiche, aggiustamenti, tutto in 40 metri quadrati. Ma la cosa che mi tormenta è che ci sono abiti che da sola non riesco proprio ad indossare. Non riesco a chiudere la cerniera disposta sulle spalle.
Li ho messi tutti vicini nell’armadio, questi dispettosi e sono molto belli.
Dunque un giorno tocca alla guardia giurata del palazzo, una volta alla bidella a scuola, un’altra addirittura allo sconosciuto in ascensore.
Esordisco con un sorriso, sbattendo le ciglia come Holly Golightly in Colazione da Tiffany, e dico:
Mi perdoni, non riesco proprio ad allacciarlo da sola”.
E così il malcapitato/a di turno, o con un po’ di imbarazzo o con una risata sfacciata, si impegna e dopo una iniziale lotta con la cerniera, che dipende da quanto è esperto nella questione, risolve il mio problema.
Lo stesso con le collane e questa volta è complice, nella difficoltà di chiuderle, la lunghezza delle mie unghie. Dopo un primo tentativo davanti allo specchio, che solitamente mi porta a far cadere ogni genere di trucco e spazientirmi a livelli immensi, esco appena sul ballatoio e aspetto che passi qualcuno più abile di me.
In realtà basta che abbia le unghie più corte dei miei due centrimeti e mezzo e magari non a mandorla.
Ma non serve più. Ora ho la mia cameriera privata ed è così carina.
Apre le porte di questo enorme guardaroba: il contenuto è molto simile a quello che ricordo nella vecchia casa. Colori, tessuti, ampiezze, tagli. Sono molto fiera che nemmeno un palazzo barocco possa migliorare il mio vestiaire. Ma la cosa straordinaria è che la giovane..
Come ti chiami tu?
Marie, Signora, stamane è proprio addormentata.
La giovane Marie propone abbinamenti guardandomi con la freschezza dei suoi vent’anni.
Dalla finestra mi si apre, invece della solita visione sul cavedio, un enorme giardino con in lontananza il mare.
Il sole è alto, ma decisamente invernale.
E senti Marie, come si veste solitamente il Conte? Adora in particolare qualche mio abito?
Certamente il velluto, Signora. Quando siete entrambi in velluto siete i più bei reali di tutta Francia.
Dunque al suono de La boiteuse di J. Ph. Rameau, vengo assistita ad indossare un meraviglioso abito verde smeraldo con stivaletti neri annodati fino al polpaccio.
E mentre Marie riordina con cura tutte le mise scartate, scendo le scale della gradinata del palazzo Venti, che si chiama così per le venti stanze da cui è composto.
Nella sala, un uomo in un abito di velluto marrone è di spalle e mentre si sta voltando verso di me, irrompe un cimbalo.
Questa volta non un’orchestra barocca che suona dal vivo, ma la diffusissima sveglia dell’IPhone.
Sono le 7 e 20 e tra poco parlerò della musica barocca alle seconde, ho preparato la lezione fino a tardi ieri notte.
Stamane però, nella spiegazione, rientrerà misteriosamente anche un conte vestito di velluto.


L’avente diritto

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Dalle leggende scolastiche che avevo sentito, me lo immaginavo spaventoso l’avente diritto.
Personaggio mitologico e portatore di sventura, soprattutto per la terza fascia, lo vedevo come il protagonista di un qualche film espressionista tedesco, con l’ombra delle unghie che lo precede.
E, come ogni mostro che si rispetti, speravo non esistesse.
I colleghi di ruolo della scuola dove ho lavorato fino a lunedì scorso, mi avevano convinto:
“Nei precedenti anni, tutti sono stati sempre riconfermati”.
Nessun avente diritto a rovinar la festa.
Solitamente, questa calamità dovrebbe sopraggiungere, nella vita di ogni onesto precario, attorno a novembre o dicembre, al termine di quella supplenza che si chiama, appunto, “fino ad avente diritto”.
Quando firmi questo contratto non sai se realizzerai il sogno della cattedra fino al 30 giugno, ma sei felice lo stesso, perché non lavori da 4 mesi. Dentro di te, fai finta di firmare una sostituzione per malattia, di quelle con una data di inizio ed una di fine, così se la perdi non ci rimani troppo male.
Poi, la leggenda narra, che spesso l’avente diritto diventi tu.
Non ho mai capito il perché: misteri della scuola.
Ma soprattutto, non temi il suo arrivo, dato che in quel momento ignori che:
in quel mese e mezzo di servizio riceverai una pallonata nella pancia da un down che ha iniziato a volerti bene, ma è oppositivo e lo dimostra così,
scoprirai che solo interpretando Le mille bolle blu di Mina, manina con manina con l’utente, calmerai un attacco autolesionista e violento,
si può sopravvivere anche mangiando solo pane e limone, ma dato che il succo di ogni frutto è poco, ogni giorno a mensa bisogna disporre, per evitare crisi, ameno di 10 limoni e di 15 panini,
per quanto tu abbia sempre odiato e rifiutato matematica, ora che devi aiutare un ragazzo, ti tormenti per tutto il week end, fino a quando i conti non tornano,
quando ti abitui ad accogliere, poi non sai più se sono i ragazzi a chiedere sostegno a te o tu ad averne bisogno da loro,
ogni tanto un collega carino e maschio, in un gineceo di professoresse, è di grande sollievo,
esistono ancora i professori timidi, sensibili e bravissimi,
vorresti rifare le medie da quanto sono belle certe lezioni di geografia,
correndo sui tacchi, per prendere un treno, puoi attraversare l’intera via San Vincenzo con un tempo di 6 minuti e 27 secondi.

Ecco, quando sai tutte queste cose, ma solo a quel punto, arriva l’avente diritto.
E scopri che non è affatto mostruoso, anzi è una ragazza come te, ma solo con un punto in più in graduatoria.
E per questo, malgrado dover abbandonare il tuo posto ti lasci un grande vuoto dentro, non riesci ad odiarla.


Il mio problema è che non so risolvere i problemi

 tabelline-jpg-600Mia sorella è una matematica.
Non avesse sospettato di rimanere disoccupata a vita, avrebbe fatto la ricercatrice.
Questo non ha mai giocato a mio favore.
Infatti, alle medie, era lei ad aiutarmi nelle materie scientifiche e quando mi faceva ripetizioni sembrava tutto più semplice.
Sinceramente non ricordo di più di quel periodo, a parte che fu nell’estate dopo l’esame di terza media che diedi il primo bacio sulla passeggiata dei Piani d’Invrea.
Al liceo, naturalmente, ho fatto il classico, dove il mitico prof. Michieli con sguardo affascinante ed accento napoletano, mi diceva:
“Lorusso ce la mettiamo questa x?”
Ed io, da posto, con occhi a cuore riuscivo a strappare un 6 risicato ed uno splendido sorriso per cui le compagne ringraziavano calorosamente nell’intervallo.
Poi è arrivata la musica e anche lì, quando si parlava di frazionare tempi e valori, il pesciolino rosso si insinuava nella mia testa bionda e attraversava l’acquario che, in quel momento, si creava al posto del cervello.
Ma le cose cambiano.
Ora devo aiutare un bambino.
Lui, nelle ore di matematica e geometria evita di guardarmi, ma sento che di me non è convito affatto.
Appena viene dettato il problema o copiata l’espressione cerco di mantenere la calma e soprattutto dimostrargli di aver tutto sotto controllo. Ma non faccio in tempo a scrivere i dati o la verbalizzazione che, dietro di me, i compagni di classe cominciano ad alzare la mano, gridando: “Io, io, Prof interroghi me..
Saputelli.
La professoressa di matematica, che è bravissima e sensibile, tanto che dimostra una certa cura, oltre che nei confronti del bambino anche nei miei, ci chiede: “Tutto ok?”
Voi che avete dei figli e solo lauree in materie umanistiche, forse potete capirmi.
Quella parte del cervello chiamata logica, io non ce l’ho.
La stessa cosa vale per gli addominali laterali, dice Luis, il mio pugile-allenatore preferito.
Quelli che ti fanno stare nel plank obliquo, per intenderci.
Magari ce li ho, ma certamente non li ho allenati.
Penso, inoltre, che nella mia testa, la zona deputata alla creatività occupi uno spazio doppio, o forse triplo ed invada anche la parte logica, proprio come quando un occhio ci vede e l’altro è pigro.
Questo mi ha fatto riflettere e mi ha spiegato tante cose in queste settimane.
La parte creativa-emotiva, nella mia vita, sembra aver preso il sopravvento e quella logica, invece, appare sconfitta, messa in un angolo e dimenticata.
È questo il motivo della mia tendenza ad investire troppo nei sentimenti.
E, relativamente, ad essere investita da loro.
Questo è il motivo di tante scelte sbagliate e portate fino all’esasperazione.
Questo è il motivo per cui ho passato il week end tra l’applicare proprietà distributive ed invariantive e risolvere problemi di geometria.
E dopo che, convintissima, ho cercato di dimostrare almeno per un minuto che il risultato di 7×8 fosse 52, ho ripreso in mano anche le tabelline.

 


L’assemblea sindacale a scuola

790066 OCCUPAZIONE E ASSEMBLEE AL LICEO BERCHETOra che avevo imparato la strada per i vari plessi dell’istituto comprensivo dove lavoro, spunta un nuovo indirizzo, quello dove si terrà l’assemblea sindacale. Tra numeri rossi e neri si apre la caccia al tesoro per il liceo giusto. Giungo con l’aiuto di tre passanti: una mamma latino americana che trascina una bambina per mano e che mi indirizza nella scuola sbagliata, una ragazza che mi dà indicazioni continuando a parlare al telefonino ed infine un uomo che mi risponde con precisione, ma essendo sulle strisce, rischiamo di morire entrambi. Mancano dieci minuti all’inizio, ma l’aula magna è quasi vuota. La animano solo due o tre professoresse già precedentemente incontrate nei corridoi. Sento come un profumo di madeleine, una rimembranza di passato, ma penso che sia colpa del sonno. Mi serve un caffè. Chiedo alla bidella se la scuola è dotata di macchinetta e lei mi dice che è ai piani. Col suo tono vuole sottolineare che c’è, ma non per me. Decido per il bar, tanto c’è tempo. Cammino nella pioggia e ne incontro uno a dir poco retrò. Devo chiedere un decaffeinato perché, come ogni lunedì, ho già le mani tremanti a causa della copiosa dose di caffeina ingurgitata. Il rancoroso signore, dall’altra parte del bancone, prende una polvere nera da un Tupperware abbandonato in un angolo. Dato che gli altri bevono bianchini, penso di meritarmelo. In bagno non c’è l’appendiabiti e devo appoggiare la borsa sul pavimento. Forse merito anche quello. Al bancone una signora racconta la ricetta del pesto senza formaggio. Il proprietario si inalbera con lei ed anche con me dato che, a suo parere, il pesto senza formaggio non può esistere. Lei dice che ha il colesterolo alto, “Anche io“, annuisco. Si calma, pago ed esco. Entro nell’aula magna, riconosco la signora del pesto e la saluto. Si sono creati dei gruppetti, sono l’unica seduta da sola. La sensazione di déjà vu è sempre più forte. L’aula, molto lentamente, si riempie. Alle 8.40 inizia a parlare il sindacalista con un abito di velluto marrone proveniente dagli anni ’70. Ha una sua eleganza antica ed è credibile nella parte. Dopo l’esposizione, c’è il dibattito ed in un attimo mi trovo catapultata in un luogo lontanissimo della memoria: l’assemblea scolastica del liceo. Quella dove qualcuno rimaneva a casa a studiare, qualcun’altro parlava continuamente in fondo alla palestra e poi arrivava quello o quella, come ora la collega, che ci chiamava compagni e compagne e tutti applaudivamo. Insomma tutto uguale, a parte che oggi l’assemblea era composta del 95 per cento di donne e al liceo i capi rivoluzionari erano i fighi di terza e noi le sfigate del ginnasio. Intanto, sempre la stessa, grida: “Ma la lotta, compagni, dov’è? “Giunge il momento di votare, poi si torna tutti al lavoro. Questa è la vera differenza rispetto al liceo classico Manzoni, in cui prima di casa, si andava coi compagni a prendere le focaccine dal panettiere e le si mangiava chiacchierando di lotta e cambiamento.


Dalla Prof. Lorusso alla Minagavante

scuolaLe supplenze son crudeli. Quando si inizia è un incubo perché gli allievi si approfittano del fatto che non li conosci e sei supplente. Quando si finisce è un incubo perché hai appena imparato a trattarli e li devi lasciare. Non avrei mai immaginato di commuovermi di fronte all’abbandono di 180 ragazzi. E che qualcuno si commuovesse a sua volta. Ma questa esperienza mi ha insegnato molto.
Anche io posso svegliarmi alle 6, ma solo recuperando con micro pisolini, in realtà piccoli svenimenti, durante il corso della giornata. Gridare in classe serve solo a perdere la voce. Se i compiti di castigo spaventano i ragazzi, le note servono a ben poco. Si impara a truccarsi anche sul 17 in corsa. Non bisogna mai lasciare silenzi: gli alunni soffrono della sindrome dell’horror vacui e riempiono il vuoto col caos infernale. “Cristoforo Colombo ha inventato il pianoforte“. In realtà l’invenzione è di Bartolomeo Cristofori, ma quando l’allieva l’ha detto così convinta, per un secondo, ci ho creduto anche io. E’ inutile mentire, loro ti vedono dentro e sbagliano raramente. In classe spesso sono delle carogne, bisogna essere severi in questo e cercare di minare il meccanismo alla nascita. Per esempio, se uno reclama il voto di un altro perché troppo basso, da me si becca un compito di castigo. Per alcuni dimostro 47 anni. Per altri 25. Non c’è un perché se una classe ti odia, ti odia e basta. Non c’è un perché se una classe ti ama, ti ama e basta. “Il padre di Beethoven era alcolico” Affermazione riportata in una interrogazione. Ogni classe ha un’ossessione: quando la conosci sai come affrontarla. In una classe erano le macchinette del piano terra. Bisognava evitarle come la peste. Non è detto che le ragazze siano meglio dei maschi. “Beethoven era un bambino perverso” (???Intendevano introverso) Ora so come si fa una evacuzione anti incendio. Quando gli si promette una cosa bisogna mantenerla. Quando si minaccia una cosa bisogna mantenerla. Coi bambini di prima media non bisogna essere troppo duri se no si mettono a piangere. Poi ci si sente dei mostri. Sono un po’ adolescente anche io. Non sempre capiscono l’ironia. L’intervallo con le terze è un incubo. Mai perderli d’occhio, neanche in bagno. Da una interrogazione: “I romantici essendo l’opposto degli illuministi erano tutti degli ignoranti” . Non svelare mai se sei filo genoana o filo  sampdoriana. Soprattutto ai bidelli. E sempre per citare un ragazzo: “Il piccolo Mozart era un ragazzo fenomeno”. L’espressione corretta era bambino prodigio.
Grazie. Mi avete fatto dimenticare le sveglie all’alba e, andando a dormire prima delle 22 e 30, il fatto di non aver visto neanche una puntata di The voice dall’inizio alla fine. Non vi dimenticherò. Per chi volesse salutare la prof. Lorusso e dare il benvenuto alla Minavagante presto ci sarà una festa di fine anno al karaoke di Brignole. Accorrete numerosi. E speriamo di rivederci a settembre.

 


Da Facebook alle mille lire

20150518_180746Uno dei bisogni primari dell’uomo è da sempre quello di comunicare. Oggi è molto facile soddisfare questa necessità infatti le nostre bacheche di fb sono piene di messaggi tipo: “Taac doccetta”o stati più profondi come “Io sto col Nepal” o qualsiasi altra frase che uno abbia l’esigenza di scrivere e condividere. Ed ecco che in pochi secondi avviene il miracolo. Neanche il tempo di postare e Giuliana condivide, la zia mette il Like e quello che mi piace? No, quello non mi scrive mai niente. Ma una volta? Quando i social non esistevano in che modo si accontentava questa urgenza? Per i più dissidenti c’erano i muri, per quelli più coraggiosi il proprio corpo (il boom dei tatuaggi è relativamente moderno) per tutti gli altri c’erano le mille lire. Oggi potrebbe sembrare dissacrante scrivere sul Dio denaro, ma sulle mille lire no, era solo divertente. Gaetano Pisani che negli anni ’90 faceva il casellante e quindi di mille lire ne vedeva molte, raccolse nel 1993 le più belle in un librettino edito dalla stampa indipendente. L’altro giorno l’ho ritrovato e credo che alcune valgano la pena di essere ricordate. Molte di queste scritte potrebbero essere sulle bacheche del social blu o di Twitter o di qualsiasi altra diavoleria mediatica. Altre no, perché meravigliosamente vintage. Proviamo a catalogare..

Ci sono le scritte tipiche da Smemoranda. Ad esempio:

La scuola è come uno scherzo. Bella quando dura poco. Hd 5111975E
Per paura di restare infelici restiamo infelici per sempre 10/10/90 Nf 932016J
Paolo tu sei per me la luce ti prego non lasciarmi nel buio Ce 282786 M

Poi ci sono alcuni detti un po’ folli tipo:
Se fumi Marlboro ti amo e ti adoro se fumi Muratti ti amo da matti se però non fumi niente ti amo ugualmente(scritta vicina) testa di cavolo, figlio di buona donna GF370689P
Tutti siamo cornuti Rf1234444I
Siete tutti dei pasqualotti Re563893H

Poi quelle autobiografiche:
MIO FIDANZATO TI AMO Dd17477588I
Sono a letto con una gamba rotta Fg26262522G
Rossella è veramente una scema Dd2277788H
Mi chiami alle 8 Zl385756463M
Ti voglio male Hp38383474R
Ho preso otto nel compito di matematica. Sono secchiona. Qz4465748Q

Poi quelle ideologiche:
Fermiamo la guerra Zp 2322990H
Stop a sfratti infami Gf 54397U

Infine quelle sgrammaticate come la bellissima:
Chi muoie sta bene Tf 4459677S

E molte altre ancora. Il numero vicino è quello di serie. Per concludere vi vorrei fare una domanda. Io non ho mai visto cinque euro scritti e voi? Troppo nuovi? Troppo di valore? Troppa crisi? Diventerebbero non validi? In Europa non si usa?
Ho ritrovato i miei trucchi di Dior proprio oggi grazie al bidello Paolo. Varrebbe la pena scriverlo da qualche parte….

 


La mia prima gita da prof

20150410_102742Appena entrata nella nuova sala professori, non avevo ancora capito in che classe avrei dovuto cominciare la mia supplenza, mi si avvicina una prof dal piglio pratico che dice: “Senti vieni in gita venerdì? la collega che sostituisci sarebbe venuta e io non posso andare a tutte le gite.” Dal suo fare immagino di non avere vie d’uscita e mi appello solo a possibili impegni artistici. Che detta così non ci crede già nessuno. Lei mi scruta con sospetto mentre tiro fuori un’agenda semivuota dove per quel giorno l’unico appuntamento è unghie ore 13, che comunque non ce la farei perché esco da scuola alle 13 e 50 ed il centro estetico è dall’altra parte della città.
Mentre penso: “Maledizione, non sposterò mai l’appuntamento del gel.” Le dico: “Va bene.” Senza chiedere quale fosse la destinazione, senza contestualizzare la data nel temibile libro delle circolari, ma facendo parlare solo l’istinto.
Rimuovo fino al Lunedì. Ancora non so niente di dove si andrà, ma scopro che il sabato, giorno successivo alla gita, si va a scuola per un recupero, quindi un’ulteriore sveglia alle sei e trenta. Sfogliando il libro nero sul tavolo di legno leggo inoltre, dalla Circ. S/191, che sempre quel sabato è l’ultimo per consegnare i pagellini. Il che significa 180 voti da mettere. Io che sono ordinata. Quelle righe piccolissime. Non si possono compilare a casa, solo a scuola. Cerco di rimuovere anche questo. Scopro che sempre nello stesso sabato è programmato il coro degli alpini e devo far cantare tutte le mie terze insieme a loro. Posso rimuovere anche questo…?
Martedì tramite Circ. S/192 so finalmente di che morte devo morire: trekking sui forti. Io pensavo fosse una visita all’Acquario di Genova o alla mostra sugli Espressionisti a palazzo Ducale. No. Trekking sui forti, abbigliamento comodo. Sfoglio il libro delle circolari nel caso ci fosse uno psicologo per gli insegnanti.

Giovedì sera, ore 18. 45. Giungo a casa dopo una riunione di tre ore sul curricolo verticale, comincio a cercare l’abbigliamento comodo. Trovo una tuta, Pepe jeans, decente. Ok. Ma sopra? La cosa più sportiva che ho è un parka rosso di Benetton. Peso specifico 1 kg. Dovrei forse comprare uno di quei piumini sportivi 100 grammi. Sono le 19.30, scendo in via Venti, ma è ormai tutto chiuso.

Ore 21. Cerco lo zaino. Preparo il pranzo al sacco. Ho dei biscotti senza zucchero, dei pomodori ed una mozzarella. Perfetto. Metto tutto insieme in un contenitore d’alluminio.

Ore 22. Trovo quella pochette blu Bacio Perugina comprata a Londra che pensavo di aver perso. Gioia. Continuo a cercare lo zaino.

Ore 23.  Mi ricordo di aver donato lo zaino a mia madre. La sveglia suonerà tra sei ore e venti minuti. Scelgo la tracolla più leggera, è in velluto coi fiori, marca Coccinelle. La indosso già e svengo.

Venerdì, ore  7.00. La prof di educazione fisica è la capa dell’impresa, in aula professori si vocifera una da temere. Appena mi vede mi dice che ha vietato tassativamente ai ragazzi di portare borse a tracolla. Solo io ce l’ho. Mentre cominciamo a salire il sole batte e il parka pesa mostruosamente. Percorriamo 13 km con dislivello 400 metri fino a raggiungere il forte Diamante. Un ragazzino dice che dimostro 42 anni. Un altro impietosito mi chiede di portarmi la borsa. Arrivata in alto un’iper ossigenazione che se non svengo è un miracolo. Tutto il mio pranzo si è spantegato creando una sorta di Smoothies disgustoso. Però devo ammettere che le prof erano molto simpatiche, in particolare la super sportiva. I ragazzini geniali. Le guide Pino e Augusto dei leader carismatici sessantenni che vanno avanti a montagna e caffè corretto grappa. Il panorama superbo. Forse i miei geni valdostani si fanno sentire. E’ stata una giornata bellissima, certo non la dimenticherò.

 


Una settimana da prof

uscita-a...-razzoLa mattina presto somiglia così tanto alla notte. L’ho scoperto questa settimana. Sto facendo una supplenza in una scuola media e alle sei il paesaggio è lo stesso di quando torno da una serata. La città che si sveglia è quella che va a dormire: è solo un passaggio di consegne tra i notturni e i mattinieri. Di ragazzini se ne vedono pochi a quell’ora, solitamente vivono nelle vicinanze della scuola. O magari li accompagna il papà in macchina..L’autobus, dunque, è gremito di professoresse: con le loro borse di plastica piene di libri, i thermos col caffè da bere all’intervallo, le chiacchere sui “casi” della classe, quello che verrà sicuramente bocciato, che quest’anno non lo portiamo in gita, quella che è migliorata e forse per giugno raggiungerà gli obbiettivi minimi…Sono così tante le cose che non so e che scopro ogni giorno. Da qui ho stillato un ideale regolamento per tutti i neo insegnanti. Cose che dovrebbero essere alla base dei programmi di abilitazione…
1) Il registro elettronico al quarto piano non prende. Questa diavoleria tecnologica è un tablet dal funzionamento misterioso, ma molto pericoloso perché, se usato male, si possono far saltare le assenze di tutta la settimana. A volte fa scherzi di questo tipo anche ai consigli di classe provocando lo sgomento di tutti. Per fortuna io, essendo supplente, per ora posso limitarmi al cartaceo.
2) Lo smistamento. Un’operazione che vi consiglio di fare molto rapidamente e con l’aiuto almeno di una bidella. Come in tutto, se i ragazzi si accorgono che non siete capaci, ne approfittano. L’altro giorno allo squillo della campanella e senza un minuto di anticipo mi gridano in coro: “Prof ora deve fare lo smistamento”. Io, che non avevo  idea di cosa fosse, inizialmente mi sono immaginata qualcosa tipo pratica militare con tanto di flessioni. La seconda immagine è stata quella di una prova evacuazione bomba coi ragazzini che si calavano dalle finestre… Nella realtà vedo invece che ogni alunno prende in mano la sua sedia ed intuisco, con orrore, di doverli dividere perché l’insegnante dell’ora dopo è assente. Ma in quali classi? Nel frattempo mi stanno aspettando in 2B, che devo anche scoprire a che piano sia. Ma i bidelli non ci sono? No, direbbero le insegnanti sul bus. Ed ecco la terza regola…
3) Quando servono i bidelli non ci sono mai. Naturalmente i ragazzi, col cameratismo che li contraddistingue, nascondono il foglio in cui sono indicate le classi in cui devono essere smistati, perché a loro non piacciono, ma tanto io non avrei saputo il piano. Forse dovrei prendere in mano una sedia anche io e cominciare a frustare per terra verso il gruppo come per ammaestrare le tigri, gridando: “OH, Oh”
4) Il diario con le giustificazioni. Ora è differente da quando andavo a scuola io che ognuno aveva il suo diario: Candy Candy, la Smemo, Beatrix Potter, Le Ninja Turtles.. Tutti hanno lo stesso diario dove nelle ultime pagine ci sono i fogli-giustificazioni che bisogna portare se si è stati assenti il giorno prima. L’insegnante deve firmare il primo cedolino che rimane sul diario, firmare il secondo e strapparlo per conservare la copia nel registro. Cosa che naturalmente mi hanno spiegato i ragazzi. Come se si fosse in banca. Sembra facile, ma nell’atto di prendere il cedolino si rischia di strappare tutta la pagina. Spesso loro lo fanno fare a te perché ti reputano più preciso. Inutile dire il risultato dei miei tentativi. “Ma no prof, così strappa tutto…”
5) I consigli di classe sono tenuti in un’aula che ha la temperatura di 5 gradi. Così il giorno dopo sull’autobus delle maestre è tutto un: “Mi è tornata la bronchite, io ho mal di schiena, senti che raffreddore…”
Ma i momenti più divertenti sono quando mi danno le loro risposte. Per esempio: “Il jazz è una musica suonata con gli strumenti vecchi”. I gesti degli insegnanti, accompagnare i ragazzini all’ultima ora fino alla porta, le grida e le minacce dei prof che se passi in corridoio non senti note così neppure davanti alle aule di lirica, sono rilassanti, mi danno sicurezza. Ogni tanto penso che sia utile cambiare il proprio ruolo. Poi per un cantante è eccitante trovarsi di fronte ad una platea simile. Quale spettatore migliore di una classe delle medie? Se si diverte nelle tue ore hai vinto su ogni tipo di pubblico.
E’ una bella sfida: non una gatta da pelare, ma una classe da smistare.


Esami ministeriali: istruzioni per l’uso.

5391-58011-300x225Gli esami non finiscono mai. Va bene, ma quelli ministeriali sono veramente impossibili.
Tre lauree non bastano di certo.
Chiedo alle mie amiche musicali con due SMS a che ora è l’esame?Entrambe rispondono che è alle 16.
Due colleghe che con gli orari se la cavano alla grande.
Alle 15 e 30 mi presento, così non mi riconoscono subito penso, e vedo gli sbarramenti. Peggio che al G8. Li scavalco. Sento una voce dietro di me. “Scusi lei chi è?” “Chi è lei” incalzo. Mi dice che è il preside dell’istituto e che la convocazione era alle 14.30. Mi viene in mente che un occhio alle istruzioni l’avevo dato, della convocazione niente nella mia memoria, ricordo solo un dettaglio: portare una penna nera.
E mi son chiesta: perché non blu?
Il preside dopo un po’ di insistenza mi fa entrare, mi dice che farò l’esame senza preparazione. Penso che sarà la solita burocrazia, non è mica il liquido di contrasto della tac, quella si che è una menata.
Entro, tutti mi guardano.
Per fortuna che ho fatto la piega, penso.
Iniziamo. Me lo aspettavo più facile. Una delle prime domande sui Beatles. Quando si sono sciolti i Beatles? a) 1960 b)1970 c)1980 d)1964. Mi dico quei quattro simpatici baronetti sono stati attivi così poco, tre quattro anni mi sembra e poi negli 80 è morto Lennon.
b) 1970.
Faccio il mio compito, armonie di ogni tipo, teatro francese, glockenspiel e quant’altro. Ma i Beatles rimangono lì, nella mente. Si consegna. Quella era una delle prime domande, dai, sbirciamo dalla vicina. Sembra una che sa. E’ barrata la c. Ho sbagliato, lo sapevo e cambio, copro il b e metto c. Sto per consegnare, ma non son convinta. Mi ricordo quando è morto Lennon, mi ricordo tutto. Cambio un’altra volta. Arriva il commissario: “Scusi cosa sta facendo? Non può cambiare due volte. Non ha seguito la preparazione all’esame? Ora dobbiamo sostituirle il compito, ma le domande sono in un ordine diverso, quindi se copia in pochi minuti potrebbe sbagliare altre risposte”
In prigione, ferma un turno, annullamento del compito.La vicina era una secchia, lo sapevo. Copiando da lei, ho cancellato la mia risposta che era giusta.
No, non l’ho seguita la preparazione all’esame.
L’amica falsa tiratrice mi dice: “Lasciala sbagliata. E’ la cosa migliore.”
Così consegno e penso: è tutta colpa dei Beatles