In fondo al mar

diamante 2Io faccio l’extension alle ciglia. Mi siedo sul lettino di una algida russa che con grande maestria mi innesta questi peletti di volpe con una colla chirurgica. Detto così fa impressione, ma è molto peggio. Ho iniziato ad avere questo desiderio quando, dopo aver provato un mascara sensazionale, la mia amica mora e dallo sguardo luminoso, mi ha detto senza cattiveria:  “Cavoli, ora sembra che ce le hai anche tu le ciglia!” Sono bionda e loro pure, quindi si vedono poco. L’allungamento si fa una volta al mese: non è semplice, né indolore. La durata è dalle tre alle cinque ore, la mia russa vorrebbe fare una tirata unica, ma io dopo l’ora e mezza comincio a muovermi a scatti e a reclamare di voler andare in bagno. Lei che ha già iniziato a giudicarmi male dal leggero tremore neurologico, forse dovuto semplicemente dal terrore che mi provoca, si lamenta, ha un tono severo e mi dice che le donne russe sono molto più resistenti. Certo che lo sono, penso, hanno fatto la guerra. Se tutto questo è duro quando si sta bene, figuratevi dopo una settimana di influenza. Uno stress psicofisico mica da ridere, tanto che io ho cercato di rimandare inutilmente la seduta. Se salti di nuovo l’appuntamento dovremo rifare l’impianto, dice. No, questo mai. Mi presentai a settembre la prima volta, mi avevano detto che era la più brava e avevano ragione. Mi sdraiai sul lettino alle 17 e mi rialzai alle 21.30. Stordita, mi resi conto che nel delirio avevo lasciato le chiavi di casa ai miei genitori. Quindi ero mezza accecata e anche fuori di casa. Tornando a sabato, dopo dei dolori alla schiena lancinanti, la russa si è accanita particolarmente con l’occhio sinistro che infatti è stato iniettato di sangue per due giorni. Una semplice domanda: perché tanto dolore, perché? Per essere più bella nella settimana di Sanremo, per esempio. Dunque debbo uscire sabato sera. Se no, che gran spreco. Anche solo un giretto rapido, ma che dia un senso a tanta sofferenza. Comincio a chiamare le amiche: sono tutte coi fidanzati e quelle senza non hanno voglia di uscire. Le uniche due coraggiose vanno a Ponente, io non ho la macchina e non mi voglio ritrovare a Sestri, alle due, post influenzata, con un occhio iniettato di sangue e con l’allerta arancione. Dunque mi chiama un amico: accompagnami a mangiare, mi dice. Certo. Mi copro e mi metto il cappuccio ed in una birreria mi racconta la storia del brillocco. Era lei, l’ho capito dopo tempo, ma era lei. Chi? La mia ex, la donna che vorrei accanto a me, per sempre. Su uno scoglio di Portofino le ho fatto la proposta. Le ho dato un anello di diamante disegnato proprio rifacendomi al suo viso. E lei? Lei non ha accettato. Tanto che il brillocco, in preda alla rabbia, l’ho gettato in mare….Un lancio perfetto. Vuoi dirmi che nelle profondità stanziano 10.000 euro di solitario purissimo? No, ne avevo fatto una copia ed ho lanciato quella. Innamorato si, ma scemo no. Arrivo a casa, è solo mezzanotte, ma mi sento molto stanca. Mi addormento subito e comincio a sognare sirene dalle lunghissime ciglia che danzano in fondo al mare, tutte illuminate da quell’anello spettacolare, tutte innamorate di quella lucentezza, di quella menzogna. Una fede falsa, ma bellissima. Tremo, ho freddo, mi sveglio di soprassalto, mi è tornata la febbre.


L’influenza

IMG_20160128_222402I bambini sono portatori di germi. Cioè sono molto carini, ti abbracciano e ti vogliono bene, ma è proprio con queste dolci effusioni che ti attaccano qualcosa di sconosciuto e mostruoso. Soprattutto se:
1)Non hai figli a casa e quindi non hai sviluppato un esercito di anticorpi resistenti e combattenti
2)Hai fatto il vaccino e, come negli ultimi 5 anni, sei certo che non prenderai l’influenza.
3)Sei in una nuova scuola solo da un paio di settimane. La preside non ti conosce e potrebbe pensare che tu sia una assenteista.
Il risultato di questo insieme di fortunate variabili è che in pochi giorni hai la febbre alta e dolori innominabili. I primi tre–quattro giorni non distingui più il giorno con la notte e l’unica attività che fai è dormire. Personalmente appena riesco a mettermi in piedi per avere una minima soddisfazione o gioia mi trascino verso la bilancia dove però la colonnina non cambia. Mai.
Poi rimangono i giorni più lunghi. Quelli che chiamo jo-jo. Febbre alta, tachipirina che la abbassa, poi finisce l’effetto del paracetamolo e di nuovo si alza la temperatura in modo da aver bisogno di una nuova somministrazione, in una sorta di ciclo eterno e diabolico. Ma è quando si ha 37,5 che bisogna inventarsi qualcosa. Per occupare la mente e lo spirito. Per sopravvivere alla noia. La mia prima risposta, come d’altronde da sana, è la televisione.
Partirei da due semplici premesse.
Chiunque guardi le trasmissioni del pomeriggio può pensare di avere la febbre per giustificare quello che sta vedendo.
In caso sia completamente sano, quello che vede può comunque portarlo ad un aumento notevole della temperatura corporea.
Detto questo, il caso della settimana scorsa è stato Ivana Spagna vs la sua sosia Wanda Fisher. Pare che la signora Fisher, malgrado nell’aspetto identica all’interprete di Easy Lady, non si identifichi nella sua sosia. Si presenta come una cantante che nel suo repertorio variegato ospita qualche brano di Ivana. E’ vero dunque che la Fisher si spaccia per lei rubandole serate, per giunta trattando male i fan e rifiutando gli autografi, come dice la bionda cantante?
Il meriggio si divide. Barbara D’Urso nel Pomeriggio 5 con Wanda e Cristina Parodi nella Vita in diretta con Ivana. Chi vincerà? Ai posteri l’ardua sentenza.
La seconda attività, in questi giorni di malattia-convalescenza, è il flauto dolce. Per la gioia dei vicini di via Venti, che se rido forte mi sentono, mi esercito quasi tutto il giorno, mandandoli quindi al manicomio. Anche se con qualche problema respiratorio, riesco anche dal letto. Ma la cosa bella è che, per loro, scelgo da repertori diversi a seconda del mio stato d’animo: Medioevo, Rinascimento, Barocco. Ieri ero molto arrabbiata, nervosa e ho scelto La marcia del Reggimento della Turenna. E subito mi sono materializzata nella neve, camminando insieme a qualche soldato che ogni tanto crolla a terra e lottando contro bufera e nemico. Invece per il Rinascimento interpreto Gagliarda di Vincenzo Galilei, padre di Leonardo. Nel mio immaginario, più hippy che rinascimentale, mi vedo in qualche campagna con i capelli intrecciati di fiori, il sole e la prateria. Insomma, gli abitanti di Ventialventi si augurano, per la serenità delle loro orecchie, che La Minavagante guarisca presto e torni a fare shopping come una volta.

 


Barbie contro Bratz

b contro bChi mi conosce sa quanto io ami gli outfit da diva: cappelli, scarpe col tacco, trucco visibile e profumi importanti. Tutto questo in inglese si chiama overdressed e significa essere vestita in modo esagerato rispetto all’occasione in cui ci si trova. Per carità buona parte del mio abbigliamento sarebbe perfetto per la nota corsa di cavalli ad Ascott, ma forse risulta un po’ eccessivo per il centro storico di Genova. L’o. d. ha comunque i suoi estimatori: donne ed omosessuali. Tende, invece, ad allontanare i giovani uomini che identificano la donna dei loro sogni con una ragazza alla moda con felpa, piumino e jeans, perfetta nel fisico e con un trucco lucente ad illuminarle il viso. Sicuramente ho ricercato il mio riferimento estetico nei grandi classici del cinema hollywoodiano, per capirci la Gloria Swanson di Viale del tramonto. Ma, sinceramente, penso che il mio vero problema sia stato solo uno e si chiami Barbie. Fior di pesco, Principessa sulle nevi, Magia delle feste, Holiday, Regina dell’Estate, la bionda per eccellenza era sempre vestita da gran suaré ed io, che volevo imitarla in tutto e per tutto, ho cominciato a pensare che il mio guardaroba dovesse essere all’altezza del suo. Da lì abiti lunghi, stole, piume e pellicce. Le bambine di oggi non possono incappare in questo errore perché Barbie è cambiata. Secondo me è diventata brutta, infatti. Prima della mutazione non vendeva più, come se fosse passata di moda, tanto che la Mattel è dovuta correre ai ripari. Ma chi poteva anche solo concorrere con la donna perfetta?  Cloe, Sasha, Jade e Yasmin. L’unione fa la forza, si sa. Queste signorine si chiamano Bratz. Hanno proporzioni improbabili, la testa larga rispetto al corpo, gli occhi giganti, le labbra gonfie e lunghissime e magrissime gambe. Come dicevo prima: adolescenti dal fisico perfetto ed un po’ botulinato con abiti tagliati come quelli dei supermercati della moda. L’opposto mio, insomma. Ma i tempi son cambiati ed io, come Barbie che ora ha occhi e testa più grandi, quando sbaglio capisco. Ho dunque comprato un piumino, anzi due, uno per il giorno ed uno per la sera, perché almeno l’eccesso non me lo tolga nessuno. La mamma mi ha anche detto che con quello dimostro dieci anni di meno. Io che non avrei mai mollato il cappotto e il collo di pelliccia, come nella canzone Rimmel di De Gregori. Tutta colpa delle Bratz.


Sotto l’albero di Via Venti al 20

20151220_192054Come ogni anno scrivo la letterina di Natale per poi riporla sotto l’albero della portineria di via Venti. Se non ci credete alzate il pacchetto blu in fondo a destra.
Caro Gesù Bambino,
quest’anno mi sembra di essere stata molto buona, ho infatti:
Accettato delle supplenze di pochi mesi e quindi prive dell’importantissima arma dello scrutinio finale. Queste mi hanno obbligato a sopportare gesti ed azioni criminali da parte dei ragazzi. Se ti fossero sfuggiti dall’alto, che sarai molto impegnato, ecco due momenti indimenticabili.
L’anti attimo fuggente in cui tutta una classe terza ha messo la testa sul banco per evitare di eseguire i compiti assegnati dalla sottoscritta.
L’assalto alla focacceria durante l’uscita didattica. Alcuni di loro, vedendomi scoperta in coda alla fila e senza colleghi testimoni, si sono intrufolati in una panetteria pregando le signore di comprargli della focaccia. Ho dovuto trascinarli fuori a forza con le clienti che mi guardavano come fossi un mostro con quei poveri bambini affamati.
Preso la terza laurea in musicoterapia e speso relativi 200 euro di confezionamento abito su misura.
Tenuto via Venti molto più in ordine. A proposito, rispetto a questo vorrei ricordarti che con una mini lavastoviglie supererei quel volgare compito del lavare i piatti che “a volte” rimane ancora incompiuto.
Fatto almeno 10 giorni di fioretto in cui non ho toccato alcolici. Tralascio il particolare che il voto è stato attuato dopo che quella sera ho un po’ esagerato coi Cocktail Martini, ma trovare un egregio barista è ormai così difficile…
Perso qualche chilo dato che ho frequentato la palestra 3/4 volte a settimana. Molto ha fatto la presenza di Luis, pugile latino americano con il quale mi allenavo quasi quotidianamente con grande dedizione e gioia. Inutile dire che aveva molto del Dio Apollo.
Penso dunque di meritare questi semplici pensieri.
Un poeta tutto per me. Però, caro Gesù Bambino, perché vada bene è importante che abbia queste caratteristiche: fornendogli un tema, per esempio la luna, dovrebbe avere una certa autonomia di brani sia della tradizione che scritti da lui. In più lo vorrei anche in grado di recitarli ed interpretarli per me, la sua musa.
Dalle 9 alle 12 ore di sonno ogni notte, per il mio buon umore e affinché la mia pelle rimanga sempre giovane e bella.
Una supplenza fino al 30 giugno, di musica possibilmente, con orari decenti ed un basso numero di teppisti in classe.
I capelli meno sfibrati, senza tagliarli naturalmente. Sai che mi crescono poco.
Che Ventialventi raggiunga le 500.000 visualizzazioni e mi porti a scrivere il primo romanzo edito Feltrinelli, Einaudi o, al massimo, Mondadori.
Un aiuto a perdere ancora qualche chiletto che sicuramente è di troppo, sempre grazie ad un valido personal trainer, a patto che abbia le caratteristiche del sopracitato Luis.
Penso che per quest’anno possa bastare. Come sempre non vorrei chiedere troppo e togliere ad altri bambini, magari meno fortunati di me.
Ringraziandoti anticipatamente,
Tua
Francesca Lorusso detta anche LaMinaVagante


Non serve molto per concedersi un lusso

deluxe-nataleIl pranzo del 25 lo preparavano i volontari. Per il 24 invece c’erano a disposizione 10 euro a testa, un regalo della Madonna ci avevano detto, con cui gli ospiti del dormitorio potevano far la spesa. Avevo letto e riletto il volantino coi prodotti Deluxe arrivato in parrocchia, li conoscevo a memoria e volevo creare il menu perfetto.
Entrè: tartine col Capelin Caviar, uova di mallotto ad 1.99. Non me lo figuravo quel pesce, né la forma, né in che mari vivesse e malgrado le zone wifi della città, il cellulare che mi avevano dato le suore era troppo vecchio e non si collegava. Avevo aggiunto oltre al pane per tramezzini che costava 1 euro, le patate Duchessa surgelate a 0.99, croccanti fuori e tenerissime dentro, che vanno a braccetto con il pesce e le carni bianche diceva il volantino.
Primo: Gnocchi ripieni scamorza e radicchio ad 1.99 da condire al burro, il grana non ero certa di riuscire a farcelo stare.
Dessert: Tortine al cioccolato a 1.79 che dato che non avevo il forno dalle suore, avrei messo sul fornello elettrico due pentole una sopra l’altra in modo da sciogliere e riscaldare il cuore tenero di cacao.
Però dovevo trovarlo il Lidl di Albaro che quella zona per me era proprio sconosciuta. Non c’erano parrocchie lì per quelli come me. Forse ci stavano I poveri ricchi, come nel film di Pozzetto. Fermai una macchina che si avvicinava lentamente, come lentamente abbassò il finestrino il suo guidatore. R moscia e sguardo da nobile, un po’ spaventato del mio disturbare, mi disse che il Lidl era nei dintorni, non voleva figurare maleducato, ma era chiaro che lui non ci fosse mai stato. Quando vidi la Volkswagen andarsene, per un attimo mi sentii sola. Uscendo dal super andai rapida alla fermata che poi mi scadeva il biglietto, doveva far parte dei 10 euro stipulati da suor Lisa per quel regalo di Natale. Scesi in via Venti che avevo superato i 100 già da 5 minuti. Alla fermata davanti al Mc Donald erano saliti due della AMT, per fortuna si erano fermati innocui a ridere e chiacchierare col guidatore. Malgrado la mia condizione, sono una signora e non c’è niente di più brutto che litigare con l’autista quando tutti ti guardano. Il sacchetto bio da 20 centesimi non pesava. Decisi di andare ancora a fare un giro per San Vincenzo e godere un po’ dell’atmosfera pre-natalizia. Poi dovevo risolvere il problema del bere, un Natale senza alcolici non era festa, ma certo non lo si poteva dire a suor Lisa. Avevo tempo per trovare una soluzione, era solo l’Immacolata, mi ero portata avanti con la spesa perché non volevo rischiare che le offerte finissero, tanto la madre superiora aveva un bel congelatore.
Mi trovavo proprio in piazza Colombo quando vidi due signori sui 60 anni mano nella mano, di quelli che si amano tanto da somigliarsi quasi. Lei lunghi capelli castani curati e belli come li hanno solo le ricche signore. Lui occhi azzurri come il golf di cashemire che portava. Gli donava molto quel pandant. Tra di loro un sacchetto marrone con quel marchio francese unico ed elegantissimo. Dentro si intravedevano due scatole grandi che contenevano borse così preziose da valere come tutto il Lidl o ancora di più. Si accorsero che li guardavo. Vidi i loro pensieri, la figlia che non avevano avuto e che io sarei potuta essere. Fu in quel momento che ebbi l’idea ed entrai. La mia più grande passione al mondo erano i profumi. È curioso per una barbona lo so, ma non ci si nasce barbona. Inoltre più non puoi avere una cosa e più la desideri: è la legge dell’amore. Mi mettevo spesso a far la carità proprio dall’altra parte della strada per godere del profumo che usciva da quella bottega. La commessa, di un biondo freddo e dai capelli corti, era preparata come poche sanno esserlo. Amava il suo lavoro e aveva la capacità di saper trovare la fragranza giusta a chi entrava, tanto che poi usciva contento. La studiavo dalla vetrina e sognavo di portare i capelli come lei.  Entrai e, tenendo sotto al fazzoletto da naso le patate duchessa un po’ ammorbidite e a forma di Colt, le dissi di stare zitta, prendere la borsa più grande che aveva e riempirla di quello che le avrei detto. Lei, come ipnotizzata, fece quello che le chiesi. Quel profumo da barba mi inebriava dando adito alla follia che stavo facendo. “Partiamo da Guido, il napoletano che stanzia da Mc Donald col cane e la chitarra. Mi prepari tutti gli accessori da barba Omega: crema, pennello, rasoio e lozione. Mi fa un bel pacchetto, rapida come non è mai stata. Lo stesso nome del negozio è un omaggio alla classe di certi napoletani, e allora, non è contenta? Poi passiamo a un profumo per Mario, quello che dorme sotto i portici di Via Venti, per lui cosa suggerisce?”Lei zitta e spaventata. “Cosa?!!!” Ripeto gridando. “Lo ha visto di sicuro, è sempre lì con la coperta rossa che sta inginocchiato, che fa meno freddo a dormire così.” “Ho capito” dice lei, “data l’eleganza naturale del signore, proporrei una fragranza vivificante come Juniper sling di Penhaligon’s London. C’è anche il doccia schiuma.” “Impacchetti”, dico. “Poi c’è la donna dell’Est, quella che grida, chi non l’ha sentita a Genova? Voglio una fragranza che sappia lenire la sua sofferenza.” “Certamente un prodotto dell’Artisan Parfumeur, proporrei Zing, qualcosa che a che fare con animalità e circo, al limite tra sogno e realtà”. “Molto bene, così la voglio. Poi prepari dei regalini. Per tutti quelli che vengono in dormitorio il giorno di Natale, mi riempia la borsa. E infine qualcosa per le suore, semplice ed un po’ maschile, se no non lo mettono.” “Certo, la linea da bagno più naturale che ho, quella di Eau d’Italie Le Sirenuse Positano. Le faccio sentire Acqua Decima, per esempio, a base di Neroli e menta”. “Perfetto, me le metta tutte. Tutte, ho detto. Ora vado, è stata brava, è sempre brava. Buon Natale.”
Non feci in tempo ad uscire che già mi buttarono giù. Doveva avere un allarme digitale per chiamare i carabinieri sotto al bancone. Ancora intrisa di quella fragranza menta e neroli feci in tempo solo a dire: “Mettete in freezer i prodotti Deluxe, se no si rovinano”


Sopra e sotto il divano

20151106_202742Sopra
Il 2005 e Genova, per me, erano nuovi di zecca: un lavoro, un amore, una casa tutti da arredare. “Lo voglio rosso il divano, mamma e papà, ma dell’Ikea. Che di più non posso.” Non avevo neanche le posate, solo Ektorp, ma il fidanzato era sempre là sopra con me. Me lo vedo con la luce delle candele, ma è un ricordo finto, di quelli fatti d’amore. Così rosso non era mai stato, neanche il giorno dell’acquisto. Ci tenevamo sempre le mani su quei cuscini e diventavano bianche da quanto erano strette. Poi il lavoro a Milano, il trasferimento. Sul mio sofà cominciarono a piazzarsi gli inquilini. Prima un lui che aveva amici rumorosi, dice il vicino di sotto, tanto che una sera è salito e li ha minacciati: che io son bravo e buono, ma la mattina mi sveglio alle sei, gli ha detto. Poi un’inquilina che aveva una cagnolina rompiballe. Dice sempre il vicino di sotto che non smetteva mai d’abbaiare, tanto che una sera è salito e l’ha minacciata: che io son bravo e buono, ma la mattina mi sveglio alle sei, le ha detto.
L’agenzia milanese fallì, portandomi di nuovo a Genova. Il canapè era destinato alle lezioni di canto. La gente mi diceva: “Ma tu dove dormi?”Ed io, rispondevo: “Qui”. E loro, testardamente:“Così o si apre?”
Colazioni, pranzi, cene tutte servite sulle sedute. Il tavolo è sempre stato troppo incasinato per queste cose.
Il morbillo d’agosto, i quaranta gradi, il prurito e la difficoltà a respirare, il borotalco sul rosso velluto.
La sera ci si versava sopra bourbon whisky, confessioni e baci. La gente arrivava e piangeva proprio là, non so perché. Così le macchie si confondevano, univano e pulivano da sole.
Poi, alla supplenza, si trasformò definitivamente in letto, come se non si chiudesse più. Tanto non ci entrava nessuno in casa con gli orari che facevo. Andavo a dormire alle venti e mi svegliavo alle sei, come per andare a ballare riposata. C’era tanto spazio: il flauto, i libri di storia, i fazzoletti di carta, il cellulare, le tazzine di caffè.
E poi l’ultima estate: il caldo afoso, la terza laurea, la televisione 50 pollici, la serie Mad Man, Uomini e Donne della De Filippi. Tutto sempre lì sopra.
Le doghe, già Ikea, dal troppo uso, si sono piegate, rotte, abbassate, il rosso sbiadito, il materasso mangiato da un amante, dicevo. Tanto che negli ultimi giorni ho provato a dormire dalla parte dei piedi, ma mi incriccavo ancora di più.  Male al cuore sommato a quello della schiena la mattina è un disastro. Tanto che l’altro giorno il divano è andato via nelle braccia forti di papà e Mario, il portiere di via Venti n. 18.
Ecco l’elenco di quello che c’era
Sotto:
………, ………,…………,……………,…………,…………,……………,………,…………,………………,……………,……………,……………,………………….
C’è voluto molto più di una ramazzata per raccogliere tutto.
Le perle, di un filo che si era spezzato cadendo, rotolavano sul pavimento come un cappello nel vento.
È arrivato un nuovo divano. Ora, potete indovinarne il colore.


Il flauto magico di Mozart secondo la Minavagante

flautoTamino è un giovane ingenuo, romantico e coraggioso, ma così demodè da innamorarsi di una che ha solo visto in ritratto. Che si sa, come per la foto del profilo di Facebook, non è detto che sia sempre aderente alla realtà. Conosciamo il ragazzo mentre è alle prese con un serpentaccio, quando tre dame certamente single non perdono l’occasione di salvarlo. E via di complimenti: “Come sei bello, come sei forte….” che, anche uno come Tamino, è a rischio narcisismo. Arriva Papageno, uccellatore e aiutante del protagonista che si presenta già ribadendo quanto siano racchie le dame e quanto vorrebbe, invece, una ragazza carina tutta per sé. La simpatia nei suoi confronti è immediata anche solo per il fatto che è molto più interessato al vino, ai fichi e alla ricerca della sua Papagena che alla virtù e al coraggio. Uno così, fuori dall’Egitto fiabesco di Mozart, avrebbe quantomeno una fidanzata ufficiale e sicuramente diverse amanti. Le donne impazziscono per quelli che le fanno ridere. Le tre zitelle, che vogliono qualcosa in cambio, portano i due dalla loro capa, la Regina della Notte. L’Astrifiammante fa da subito un’interpretazione da Oscar nella parte della madre addolorata. “Se trovi mia figlia, rapita dal malvagio Sarastro, avrai la sua mano.” E qui il mammalucco crede a tutto convincendosi di salvare Pamina e di sposarla. Fosse così facile nella vita, che manco dopo nove anni di convivenza gli uomini prendono qualche decisione a riguardo. In più la Regina con la notte dentro, il vestito, il trucco e tutto il resto, non sembrerebbe buona neanche ad un cieco, ma lui ha già lo sguardo da triglia dell’uomo innamorato e non si accorge di nulla. In realtà la regina è cattiva e Monostatos buono. Lo stesso re svela a Tamino la verità e gli dice che se vogliono entrare nel suo regno lui e Papageno dovranno purificarsi superando tre prove. Per aiutarli, come in un buon manuale di musicoterapia, vien consegnato a Tamino un flauto e a Papageno un glockenspiel (strumento natalizio con campanelli) che hanno poteri magici e che li tolgono dai guai. La prima e più importante è la prova del silenzio. La regola è non parlare per nessuna ragione al mondo. Non so voi, ma penso che i miei problemi partano del fatto che non l’ho mai superata. Tantomeno con un uomo. Lui è così bravo che malgrado arrivi Pamina con gli occhi a cuore a chiedere conferme d’amore, non risponde. Dato il silenzio la poveretta ci dà di matto e s’impunta ancora di più. In questo momento dell’opera mi identifico particolarmente: è successo a tutte che uno ti ama e ti adora e poi svanisce nel nulla senza neanche una parola. Secondo eccellenti manuali del calibro di:
Io non soffro per amore, Tu lo fai girar, Falli soffrire 2.0, Come entrare nel suo cuore senza uscire di testa, Dimentica i due di picche e diventa asso di cuori…
Lei, per logica, dovrebbe lasciar stare fino a quando non si fa sentire lui. Pamina, come ogni donna che si rispetti, invece medita il suicidio. Ma per fortuna non siamo nella realtà e qualcuno di magico l’avverte che Tamino non è uno stronzo, ma non le parla per superare le prove. Da lì è in discesa: i cattivi verranno fatti sparire dallo tsunami e presto i due si ricongiungeranno per entrare nel Tempio del sole, che fa un po’ Albano Carrisi. Mentre cantano qualcosa sugli dei che portano fortuna a quelli che si amano, un senso di speranza arriva anche a noi grazie ad un bacio davanti al sole infuocato che neanche nel finale di Via Col Vento.

 


Non toglietemi Playboy!

play

Il logo delle conigliette

Oggi tutto è catalogabile, basta andare su internet e cercare.
Una canzone? YouTube.
Una borsa griffata?Privalia.
Una ricetta? GialloZafferano. Una serie? ItaliaSerie.
Una scena di sesso? YouPorn.
Però non ha sempre funzionato così. Una volta c’era solo Playboy.


Mc Chicken Factory

mc chickenCi siamo. Ha cantato. Stamane sembra peggio e prima del solito, malgrado ieri sera mi sia tenuto leggero. Ultimamente il pasto è terribile. Per quanto Giovanni Paradello quando arrivano le scolaresche dica che noi abbiamo il miglior mangime del nord Italia, io ho le mie riserve. Mi sgranchisco un po’ le zampe e mi metto all’ingresso del mio ricovero mobile, come lo chiamano loro. Sempre Paradello, che è il padrone di tutto l’ambaradan, parla di libero accesso, ma in realtà questa è una vera e propria gabbia. Per fortuna la televisione del guardiano è accesa 24 ore su 24. È anche abbonato a Premium perché fan del Grande fratello. Io da qui vedo lo schermo perfettamente, tanto che mi son fatto una cultura generale. Tg, reality, talent, programmi culturali su Rai tre, serie tv: sono preparatissimo. Ma lo spettacolo che preferisco è dal vivo: la nostra processione mattutina.
Alle 5 i galli son già fuori e alle 6 danno la sveglia. Stanno in una zona a parte per evitare casini con le galline.
Le prime ad uscire son proprio loro, se no quelle ci metterebbero un’ora a venir fuori dalle stanze da notte, come le chiamo io. Le donne sono tutte uguali: cosa mi metto, ieri nel pascolo ho avuto l’impressione che il gallo mi guardasse, ma ti sembro ingrassata, etc etc. Però devo dire che, malgrado tutto, son sempre un bel vedere.
Poi tocca ai Capponi, i palestrati come li chiamo io, che a noi polli normali neanche ci rivolgono la parola. Qualche giorno prima del Natale ne ho visto uno che sarà stato tre volte me. A Santo Stefano è partito, chissà per quale destinazione. Hanno poco da fare i fighi, io lo so perché sono così gonfi. A parte quello che gli danno da mangiare, che Paradello dice che è tutto naturale, il fatto è non son più come noi. Cioè Enry, che è il mio migliore amico e si è trasferito qui pulcino mi ha detto che gli fanno una cosa terribile perché ingrassino e perché le carni siano più morbide. Ma Enry ne racconta tante, deve avere la fantasia ipertrofica. Ce n’era uno l’altro giorno a Dica 33. Infine quando usciamo noi polli, la fattoria ad agricoltura biologica Paradello è al completo. Un’aria di pascolo all’aperto di almeno 4 metri per ogni capo, che viene rinnovata in modo da conseguire una gestione integrata: bioritmi, buon aria e luce naturale. Detta così sembrerebbe un hotel a cinque stelle, ma non lo è. Oddio non si sta male, poi io sono uno che dove mi metti sto. Come ho detto c’è anche la tv. Poi l’importante è socializzare ed io ho travato Henry che è un vero amico. Lui viene da un allevamento non biologico. Dice che lì accadono cose orribili tipo che neanche ti muovi dalla gabbia ed ogni pollo ha una lampadina che gli dice se è giorno o notte. Pare che invece di mangiare si facciano delle gran siringate di roba proprio come i tossici. Invece la nostra giornata è abbastanza libera in quei 4 metri. Poi in fattoria succedono un sacco di cose. Per esempio spesso arrivano le scolaresche che fanno le gite qui. Io non lo capisco tanto, che se andassi fuori mi piacerebbe vedere la Torre di Pisa o qualche mostra di pittura. La mia sensazione è che il biologico sia un po’ una montatura, ma con tutta la crisi che c’è io temo che per guadagnare si faccia questo ed altro. Sempre Henry dice che c’è il boom, è una moda e gli uomini stanno tornando a fare i contadini. Comunque Giovanni Paradello quando presenta è sempre impeccabile in completo blu: non sembra come i contadini del reality la Fattoria. Qualcuno dice abbia una Porsche con gli interni in pelle di pollo, qualcuno che sia vegano. Le maestre infatti vanno tutte in brodo di giuggiole e i bambini fanno dei disastri. Anche noi facciamo dei viaggi d’istruzione. Dopo sei mesi ci portano in un’altra stanza e si parte da lì. Ieri è stato il turno di Henry. Salutarlo è stato uno strazio, ma son contento per lui, il Dott. Paradello l’avrà mandato a Parigi. Oggi tocca a me. Eccolo il fattore, si sono io, quello che guarda sempre Passepartout. Se si potesse vorrei un biglietto per Parigi. Avrebbe qualcosa da darmi contro i vuoti d’aria?
Lei evitava di andare da Mc Donald perché faceva ingrassare. Ma quel giorno era domenica e in via Venti era tutto chiuso. Sul cartello menu scintillava tra il rosso, il giallo e il clown un nuovo panino con pollame di agricoltura biologica. Se le inventano tutte, pensò. Domandò alla ragazza in cassa se la provenienza fosse veramente la fattoria Paradello come pubblicizzato. La commessa non lo sapeva. Se vuole lo chiedo al responsabile, disse. Lei si sedette e gustò il panino non pensando più alla provenienza di quel pollo.


Ce l’ho in un piede

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Al chirurgo plastico, dopo un intervento banale, anche se scomodo perché tra due dita del piede, chiedo: “Dalla prossima settimana potrò tornare al mio corso di danza dottore?”Risposta: “Signora, deve stare calma per un po’ ’’. Già il signora, mi infastidisce tanto che vorrei gridargli “Signorina”, in modo che lo sentisse anche l’infermiere dell’altra stanza che era giovane e carino. Ma lascio stare, è una formula troppo demodè. I dottori è come se ti conoscessero. Non so come facciano. Ti vedono con la cuffia, il camicino verde e il copri scarpe in tinta e hanno già capito chi sei. Mi dice: “Se lei balla la ferita si apre ed è proprio un cagata.” Nessuno ci crede che io danzo, neanche lui. Solo Elsa la mia insegnante sapeva dell’operazione. Quando dico alla gente che non potrò ballare per 15 giorni fa un’espressione strana. Mi guarda stupita dall’alto al basso, soffermandosi sul basso e chiede: “Ma perché, fai danza? ” Sembrerà strano, ma sì. Non è che se ti piace muoverti devi essere Carla Fracci. Son corsi in palestra è vero, ma con una ex ballerina classica. Niente a che vedere con la zumba e quelle robe sudamericane. Chiudo con un: “E i tacchi dottore? Quando li potrò mettere i tacchi?”
Sulla strada verso casa decido che è il momento di fare la spesa. Manco mi reggo in piedi che comincio a lottare con un carrello al mio discount preferito. Non ci vado mai perché è lontano, ma oggi mi merito un premio e mio padre mi accompagna. Come Pina Menichelli, in versione casalinga disperata, mi appoggio alle corsie perché mi gira un po’ la testa. L’anestesia è ancora in corpo, ma diciamo che lo stato di coscienza alterato è uno spasso. Faccio una spesa a base di mousse magra alla frutta dato che non posso saltare devo contenere le calorie. Arrivo a casa trascinandomi e nella mente ho la faccia del dottore che mi dice “Oggi riposo assoluto”. Nel frigo c’è un blocco di ghiaccio che quello del Titanic era niente a confronto.
Devi sbrinare il frigo prima dell’operazione.
Me l’ero scritto da qualche parte. Forse sul cellulare. Forse sul quaderno. Il cervello per fortuna reagisce e mi suggerisce che gli uomini servono a questo. Oltre che allacciare bracciali e collane. Io porto le mousse a casa sua e intanto mia mamma sbrina il frigo. Insieme alle mousse porto il computer caso mai mi venga voglia di scrivere, il libro della Gamberale che mi ha regalato Giorgia, il depilatore elettrico che se non mi depilo oggi quando? Insomma in men che non si dica è un trasloco. Mio padre mi aiuta. Arrivo da lui che non risponde al telefono. E’ normale che il tuo lui sia irraggiungibile dopo che ti sei operata ad un piede? Suono e non mi apre. Utilizzo le mie chiavi e lo vedo che fa ginnastica: addominali. Non sentiva, dice. Non mi arrabbio, probabilmente a causa dell’anestesia. Penso subito “Beato lui che può far movimento. Quando potrò ricominciare anche io?” Per oggi accetto lo spontaneo invito a rimanere qui. Domani vedremo. Domani è un altro giorno. Tanto ce l’ho in un piede.