Fatto

laurenJohn Goddard, un avventuriero ed esploratore, scrisse una lista di 127 cose da fare nella vita. Ne realizzó 111 e quando ci riusciva scriveva accanto: FATTO

Ne cito alcune: Scalare l´Everest, lanciarsi da un paracadute, assistere ad una cerimonia di cremazione a Bali, saltare in salto un metro e cinquanta, leggere l`intera Enciclopedia britannica….

Ho provato a fare la stessa cosa rispetto alla mia vacanza

1) Dormire come fossi un neonato: piu´di 12 ore tra notte e giorno. FATTO

2) Fare jogging in un cimitero di Berlino. FATTO

3) Raccogliere in un quaderno le frasi piu´belle di Fiammetta Fadda. FATTO

4) Appendere ad un albero di Tiergarten una fotografia di Lauren Bacall. FATTO (Un vecchietto un poco brillo sosteneva che fosse Marlene Dietrich e che, in gioventu´, fosse stata sua amante)

5) Schiacciare il pulsante in alto di una sveglia pensando di farla illuminare e invece averla puntata alle quattro di notte. FATTO

6)Distruggere una bicicletta sul Lungo Mare Europa. FATTO

7) Farmi rubare una bicicletta alla stazione di Varazze. FATTO

8)Visitare la casa piu´addobbata di cuoricini e melograni in cartapesta del mondo e soprannominarla casa Chic. FATTO

9) Dimagrire almeno 5 kg. FATTO

10) Riprendere almeno 2 kg. FATTO

11) Giurare di non leggere mai piu´un libro di Baricco. FATTO

12) Rompere almeno 3 paia di scarpe. FATTO

13) Ricomprare almeno 6 paia di scarpe. FATTO

14) Rivedere la mia migliore amica delle medie e capire che i primi amori non si scordano mai. FATTO

15) Cantare almeno una strofa intera di Anche un uomo di Mina una quarta sotto alla tonalita´in cui la stanno suonando. FATTO

La cosa piu´eccezionale? Scusandomi per i refusi, sopravvivere alla tastiera tedesca.

 

 

Storia di una bambola

IMG-20150813-WA0001Una volta non c’erano carrelli così. Personalizzati per bambini, intendo. Delle sorte di macchinine che rendono agli adulti la spesa meno impossibile. E non c’erano le Winx. quelle signorine tutte gambe che a chi la raccontano di essere delle fatine? Per non parlare della maialina. Ma come possono far dormire un infante con un suino? Mi stupisco dei genitori che lo fanno. E’ anti igienico, sai quante brutte malattie si possono prendere? Una volta c’eravamo solo noi: le bambole di pezza. Magari si giocava con qualche cucinino, teiera, cavallo a dondolo, ma noi eravamo le protagoniste e avevamo tutta la scena. Poi ci son bambole di pezza e bambole di pezza. Io, per esempio, cucita a mano dalla nonna sono stata la bambola della prima nipote e poi della seconda, fino ad ora che ho fatto il salto di generazione e son passata nelle mani della figlia della nipote. Le cose di una volta durano di più, mica quelle robe cinesi che si comprano oggi. E dopo tutto questo? Mi dimenticano nel carrellino della bambina. Che delusione. Io che le ho rincuorate tutte le volte che cadevano, che c’erano i tuoni, che i genitori le sgridavano. Per non parlare di quando veniva buio. Anche se devo ammettere che si son date da fare. Hanno tappezzato il supermercato di mie foto e pagheranno anche una ricompensa a chi mi riporterà a casa. Ci si accorge quanto vale qualcuno, solo quando lo si perde. Hanno anche scritto un post su Facebook e pare che abbia 100 condivisioni. Mi sento una star, quasi come il tormentone dell’estate, quello del figlio di Iglesias, che quando sentivo suo padre cantare mi faceva sempre commuovere. Avessi avuto le lacrime…Magari questa signora che mi ha trovato, ora chiama con un fazzoletto sulla bocca e chiede il riscatto. Speriamo però che non mi faccia niente. Per fortuna le orecchie non ce l’ho, ma non vorrei mai che mandasse alla mia famiglia il bottone che mi fa da occhio. Fa tanto film poliziesco e allo stesso tempo giallo dell’estate. Anche se non vedo l’ora di vedere le mie ragazze, soprattutto quella piccola che mi mantiene sempre giovane, questa avventura mi è proprio piaciuta. Bisognerebbe rifarla tutte le estati, soprattutto oggi che si torna a casa!

 

Caro muratore ti scrivo

martelloCaro muratore,
oggi piove e non ti sento battere. Stamane hai usato un po’ la fresatrice, poi un po’ di mazza e scalpello e poi il silenzio. Chissà dove sei ora. Forse hai deciso di prenderti un momento di riposo. Magari dormi in quella distesa di macerie che immagino al piano di sopra. Hai iniziato i primi di luglio e mi dici, ogni volta che te lo chiedo, che finirai non prima del 31 agosto. Le mie ferie, dunque, le divido insieme a te. Quando batti mi sveglio e quando smetti io dormo, proprio come fanno le mamme coi bambini appena nati. Lavori anche il sabato. La prima settimana ero uscita il venerdì sera, la mattina dopo, quando mi hai svegliata ero così stanca che ho maltrattato tutti e ho comprato un paio di scarpe con le frange. Io che le frange le odio. La commessa diceva “Guarda come vestono bene” e io quel tacco 12 l’avrei usato solo come un’arma contro di te. Una volta ho anche sperato che stessi male, niente di grave, un raffreddore, ma che bastasse a non farti venire a lavoro. Anzi ti chiedo scusa per questo. Ma quello che mi chiedo è: l’appartamento di sopra è di 45 metri quadrati proprio come il mio e proprio come la metà degli appartamenti di via Venti. Intendo quelli sfigati, senza la stanza da letto, col bagno cieco. Ho capito che sei da solo, ma due mesi non sono tanti per metterlo a posto? Lo so che tra di noi si è creata quasi un’amicizia. Quella sera che son tornata tardi e ti ho lasciato il messaggio in cui ti chiedevo di iniziare un po’ dopo, chissà quante me ne hai dette dietro la mattina. A volte mi sembri quasi il mio papà, forse perché anche tu non sei di Bolzano. Ti ho anche invitato alla tesi. Ti ricordi quando ti ho portato il caffè dopo che ti ho gridato basta così forte che mi hanno sentito anche a Savona? Caro muratore, ormai anche tu fai parte di Venti Settembre 20 e ti giuro che quando finirai, per festeggiare andiamo a farci un bagno insieme. Non posso dire che mi mancherai, ma quasi ti voglio bene. Anzi oggi che sei così tranquillo ti canto anche una canzone…

 

Un interregionale verso il passato

IMG-20150802-WA0031Per preparare il mio frullato spargo polvere di proteine e vaniglia per tutto il vagone. E’ l’interregionale delle 13 e 37 che da Genova Brignole corre fino a Milano Centrale. Le americane accanto a me decidono di mangiare le loro focacce con la mortadella proprio al termine del mio “lauto” pasto. Sono scocciate da questo scambio di culture, mentre addentano pezzi di Bologna, pensano che quella roba l’hanno inventata loro. Nella mia valigia stanziano due cambi d’abito, due libri da leggere, due pochette da sera, due pranzi ipocalorici, due collane e tanti trucchi. All’incontro col passato bisogna andarci preparate, anche se è solo per due giorni. Bisogna avere un cambio per ogni evenienza. Ma come sempre, quando scappa un dettaglio, diventa il più importante. Posseggo una settantina di scarpe: l’unico paio contestato, disprezzato e messo in discussione è proprio quello che indosso oggi. Io le trovo comode e moderne. Da quanto le ho viste a scuola, le ho invidiate alle ragazzine delle medie: malgrado i tacchi alti, permettono di correre, di camminare e di ridere. L’anno scorso dopo aver indossato a lungo un paio di tacco 12, ho passato una notte con terribili fitte ai piedi. Mi convinsi che me li avrebbero amputati entrambi. Taglieranno anche la caviglia, ma io con queste scarpe posso guardare tutto dall’alto. Serve sicurezza per andare incontro al passato. Serve stabilità.

Sul taxi in cui viaggio col passato che mi emoziona e mi confonde, dimentico la giacca di pelle. Non mi accorgo di nulla, ma dopo un’oretta mi chiama una certa Linda dal radiotaxi e mi da un numero di telefono per risolvere la mia sbadataggine. Nessuno risponde. Intanto chiacchiero e ricordo insieme al passato. L’ansia mi fa mangiare e se, da sempre, chi è nervoso dimagrisce, io ingrasso. Ma ora so che quando si ha un invito a cena col passato è vietato magiare due S di pasta frolla. Mi chiama un tassista, evidentemente seccato ed appena sveglio. Non è Livorno 78, è Napoli 41. Mi scuso del disturbo, richiamo Linda, mi risponde Margherita e mi dice che i miei dati sono riservati per la privacy.”No, Margherita, devi darmi il numero di Livorno 78″.

Arrivo al ristorante. Il passato è affamato mentre digerisco lentamente i dolcetti. Suona il telefono. “Livorno 78, sei tu?” Effettivamente, sembrava simpatico anche durante la corsa. Mi dice che finisce il turno per le 22 e che passerà dal ristorante. “Bene”gli rispondo”mi trovi qui”. Cerco di affrontare il mio controfiletto, la carne si può mangiare anche senza fame, poi l’appetito vien mangiando. E bevendo. Insieme al passato.

Se guardo indietro nella mia vita ci sono sempre state le sigarette. Infatti alla fine della cena non posso resistere. Una tabagista può perdere il vizio, ma rimane una tabagista per sempre… squilla il telefono. “Francesca? Livorno 78, ho una chiamata dall’Hotel Bulgari, due russi che vanno a Malpensa, non mi libero prima di mezzanotte, mi spiace”. Sono contenta per lui, ormai gli voglio bene a Livorno 78. Gli dico ci vediamo a casa mia, l’indirizzo ce l’hai, salutami i russi.

Si parte col passato e si va a casa dove si cantano le canzoni dei cantautori, quelle che avevamo vissuto insieme, quelle di una volta. Il custode pensa siano arrivati i ladri, io fumo delle Winston blu che avevo in casa, forse negli anni 70 una cliente se le era dimenticate provando qualche pelliccia di volpe. Ma se sono felice insieme al passato, penso a quanto sia difficile esserlo con il presente. Il telefono suona, Livorno è qui sotto. Scendo, lo invito a cantare con noi. “Sono molto stanco, se no verrei” dice. In ascensore incontro una coppia di vicini di casa, due cinquantenni molto eleganti, nella vita ci siamo detti solo buongiorno buonasera, ma io sono felice e li invito al mare. Sembrano allegri, forse sono andati a festeggiare, forse anche a loro, in questa notte lunghissima, il passato è sembrato trasformarsi in presente.

 

La Minavagante versione Light

mareE’ dall’inizio del caldo che penso di fare una versione light della Minavagante. Proprio come il Philadelphia o la Coca Cola con metà delle calorie La Minavagante light potrebbe aiutare a trovare un po’ di refrigerio in questi giorni afosi anche per voi che mi leggete. Oggi che tutto è così leggero perché il mare è in tempesta, c’è un bel venticello e i ragazzi che fanno surf, ho capito che io di light non ho niente. Non sono a basso contenuto calorico, ma intera come il latte. Ecco il perché:
Non solo continuo ad indossare profumi, ma in più nella versione invernale e non in quella estiva. L’altro giorno sul 18 pieno come un cocco, una signora accanto a me si sente male. Tutti, aiutandola, diventano dottori. Il summit di specialisti dice che la causa sembra essere l’umidità, ma io so che è colpa di Fracas. La creazione di Robert Piguet è fatta da un bouquet di fiori bianchi: tuberosa, gelsomini, mughetto e iris. Se già d’ inverno lo chiamo il profumo di fiori marci, figuriamoci d’estate.

Nella bella stagione il motorino è il mezzo d’eccellenza. Il vento, il sole, il mare e le due ruote. Ma bisogna vestirsi in modo consono, sportivo, comodo. L’altra sera un motorino mi attende sotto casa. Metto un vestito di Max Mara bellissimo e con la particolarità di avere una cerniera sul retro. Salgo e sento zic. Penso “Si è strappato”. Molto peggio. La cerniera si è aperta e il vestito è completamente squarciato, diviso in due. Ore 20, retro di Piazza De Ferrari. Sono mezza nuda. Comincio a dare istruzioni alla persona che è insieme a me su come operare. Gli dico sicura: la cerniera è uscita dalla rotaia, ma nemmeno io ci credo. Lui si fida e riesce a rimetterla insieme, il ferro sale, il vestito è chiuso, si parte.

Infine d’estate bisogna mangiare leggero. Un gelato a pranzo, magari nei gusti di frutta, come dice costume e società estate. Non ce la faccio. Una volta l’ho fatto e mi è venuta una fame cattiva, rabbiosa, estiva e per niente light. Alle 17 mi son fatta fare pane e salame al banco del super.

Lo troverò un modo di fare la rubrica light magari il prossimo anno. Intanto buone vacanze.

 

Antonio, Kevin e Bruce: vi salvo io dalle aziende italiane

rositaTutto partì da una gallina. Non mi sto chiedendo se dall’uovo o dalla gallina: è stata proprio Rosita a rubarci quello che era il sex symbol mediterraneo degli anni ’90. Parlo di Antonio Banderas: attore, occhi neri, 1.74, scoperto, ai suoi esordi, da Pedro Almodòvar. Il cinema d’autore gli ha sempre strizzato l’occhio: annovera partecipazioni con Brian De Palma, Woody Allen, Steven Soderbergh, fino ad arrivare al compositore di sinfonie per immagini Terrence Malick. Io lo preferisco nei film di Jesus Rodriguez, dove quella sua aria da conquistatore assume i tratti dell’ironia ed è trasformato in eroe di un western dai valori ribaltati. Ma torniamo alla gallina. Ultimamente Antonio si aggira con maglietta caffè latte e grembiule tutto sporco di farina all’interno di un inquietante mulino dai giganteschi ingranaggi a preparare le focaccette. Ed io mi chiedo: “Ma dove sta la fattoria più famosa d’Italia? Quel Mondo Buono è in provincia di? Avranno fatto sicuramente un agriturismo: B&B Il mugnaio e la gallina. Ecco, se riuscissi a localizzare il laghetto, la collina e i bambini che giocano con gli aeroplani, andrei a rapire Antonio. Gli direi: “Possiamo portare Rosita se vuoi, ma devi tornare al cinema, ci manchi. Riesci a convincere i muratori che i tuoi panini sono differenti e loro, dopo averli assaggiati, ti danno pure ragione invece di riempirti di botte…è il momento di andare Antonio, hai fatto quel che dovevi.”

Ma questo salvataggio non basterebbe. La tendenza delle aziende italiane ad isolare fino ad esiliare nel nostro bel paese le star internazionali è sempre più diffusa. Provate ad indovinare chi è il guardiano del faro di Amalfi? Niente di meno che Kevin Costner. Si sa, la popolazione napoletana è tanto simpatica quanto invadente, ma Mister Balla coi lupi è vittima di vero e proprio stalkeraggio. Malgrado Costner, per studiare le parti, si nasconda in spiaggia dietro ad un gozzo, viene stanato da una giovane coppia. Mentre si rinchiude nel suo terrazzo e compra anche una rosa bianca per godersi almeno il pranzo, le casalinghe della zona gli fanno un agguato, premeditato in piazza, fino a che non è obbligato ad invitarle ad entrare. “Caro Kevin son passati i tempi di quando facevi il bodyguard, ora servirebbe a te qualcuno che ti proteggesse da queste Desperate Housewives e in più ti devi mangiare quelle Insalatissime messicane che il giorno dopo è tutto un prurito. Aspettami, prendo una Costa e ti porto via dal faro

Non sarà neanche un mese che l’unico, inimitabile, figo e simpatico Bruce Willis, con tanto di smoking, si aggira nella provinciale italiana vicino al mare alla ricerca di una festa che non c’è. “Bruce, attento. E’ tutta una montatura della telefonia italiana, per quello il navigatore non prende. Ricorda che se la Limousine ti abbandona e ti perdi, non devi accettare passaggi dagli sconosciuti. Questi loschi individui posseggono delle Ape Cross e sembrano innocui, ma utilizzando la scusa che hanno il 4G chissà dove ti portano, ti imprigionano, ti fanno lavorare, ti fanno vendere la frutta. Bruce, almeno tu, scappa finché sei in tempo dalle aziende italiane e regalaci un nuovo film che al cinema d’estate è tutto un horror di serie B”

 

Sarti cinesi

20150709_182041Mi occupo dei miei vestiti molto più della mia salute. Quando sono ben disposti insieme alle scarpe, mi restituiscono un senso di ordine che trovo con molta difficoltà nella vita. Ma per avere un buon armadio non basta comprare, la manutenzione è quasi tutto. Affido il mio patrimonio di scarpe ad un valido calzolaio argentino che condivide il suo laboratorio-nascondiglio nei vicoli solo con un cane e che apre e chiude quando gli va. Per i vestiti mi affido ai sarti cinesi. Ce ne sono moltissimi e sono tutti diversi. I primi a cui mi sono rivolta erano milanesi. Affidabilissimi, lavoravano giorno e notte in via Beatrice d’Este. Li potevi vedere cucire indefessi dalla vetrina del negozio. Io, facendo finta di aspettare il tram alla fermata, li guardavo ore per motivarmi alla vita. Poi mi sono trasferita a Genova e ho cominciato a farmi seguire da una famiglia di cinesi che operava al mercato orientale. Il più giovane era uno di quelli che vestono casual firmato, che hanno il ciuffo e che solitamente fanno i parrucchieri. Poi c’era il padre: un severo cinese tradizionale a cui non stavo simpatica. Avevo provato a costruire il rapporto giorno per giorno, data la mole di riparazioni, ma tutte le volte che andavo pregavo ci fosse il figlio e invece c’era lui. Alla fine della stagione mi aveva fatto quasi un sorriso. Poi l’errore, un duplice sbaglio di quelli che nei video games ti tolgono una vita. Mi dimentico un vestito alla chiusura estiva, chissà cos’era successo: un esame, una sbronza, un litigio, una partenza improvvisa. Fatto sta che lo dimentico. A settembre mi rendo conto del pezzo mancante, comincio a cercare il bigliettino, mettendo sotto sopra la casa, consapevole della gravità: trovo la tessera elettorale, trovo la lettera d’amore che mi scrissero nel ’93, trovo la foto con la migliore amica delle medie, ma non la ricevuta cinese. Sapevo ci sarebbe stato lui al ritiro: inutile raccontare la sua faccia, quando sono arrivata volevo morire. Abbiamo litigato così terribilmente che parlavo anche io cinese. Me l’ha tirato il vestito, però l’ho portato a casa. Inutile dire che non ci sono andata più. Da allora sono cliente della cinese più bella del mondo: alta e snella, che è raro nelle cinesi, la preferisco anche a Lucy Liu. Molto carina, molto brava, ma purtroppo molto cara. In più tende a sottolinearmi dall’alto dei suoi occhi a mandorla, i miei centimetri in più, tanto lei è la cinese più bella del mondo. Perché la mia autostima non crolli del tutto ogni tanto faccio giri e ne provo altri. Per esempio mi avevano parlato di Mei Mei, una cinese economica, ma completamente pazza. Pare che non capisca una parola d’italiano e che il suo negozio sia folle come lei e strapieno di vestiti in ogni dove, un casino allucinante. Se ti dice il giorno in cui il vestito è pronto, stai tranquillo non sarà vero. Ti farà tornare due o tre volte, ma poi ripagherà l’inadempienza con uno sconto strepitoso. Sembra quasi non volere soldi Mei Mei: è molto simpatica, ma ci sono troppe difficoltà di comunicazione. Per la mia terza laurea ho deciso, per la prima volta, di farmi fare un vestito. Un bene culturale merita un vestito fatto a mano. Dalla vetrina di un negozio di stoffe, una seta rossa con fiori e animali del bosco mi chiamava da tempo. Stoffa più cinese bella uguale salasso e crollo della sicurezza. Dopo aver preso le misure e accordato il modello la frase di commiato è: “Tu deve fale dieta”. Ma quel che conta è un risultato e non può essere che splendido.

 

Dalla terrazza del Cenobio dei Dogi.

cenobio nuovaDalla terrazza del Cenobio dei Dogi si vedono i bagnanti di sotto che godono della frescura del mare. Mentre il jazz risuona dal pianoforte a coda, il pubblico elegante, davanti alle porcellane bianche, approfitta del tripudio di gamberi, astici e club sandwich. Lamentandosi dell’aria condizionata, bevono champagne e gridano “Viva La sposa”. Decido di andare sul terrazzo, sembra che non ci sia neanche il vetro da quanto è grande e pulito, tanto che rischio di darci una testata regalando un diversivo agli invitati. Trovata l’uscita, si sente la differenza che non si vedeva, fuori ci son 37 gradi, contro i 17 del grande salone elegante. La vista è quella del promontorio ligure di levante. Una prospettiva, di quelle che salvano la vita. Di quelle che gli architetti non possono inventare. L’altezza, il caldo, la vertigine. La contessa Francesca Vacca Augusta, è precipitata in mare dal giardino di villa Altachiara a Portofino, l’8 gennaio 2001. Di secondo nome si chiamava come me. Ma invece di salvarle la vita, quella prospettiva gliela tolse. Mentre la immagino, vengo colta da vertigine e non riesco a capire se cado o mi butto. Il salto è enorme e quando riemergo non ci sono più bagnanti, solo mare. Esco dall’acqua e sento una bellissima frescura. Vedo tutti gli invitati di prima sulla spiaggia, le tavole sono imbandite ed indosso un bellissimo abito bianco: pizzo, satin, organza. Mi guardano, mi sorridono, mi attendono. Penso subito.”Malgrado il vestito è più probabile che debba laurearmi, piuttosto che sposarmi. Ma la quarta in cosa sarà?” E chiedo ad un tavolo di signori: “Scusate, sapete cosa sta per succedere?”Uno sorride, mi dice che sono sempre stata una donna simpatica.  Non lo prendo come un complimento, lo si dice delle brutte. Giustificandomi: “Volevo solo diventare un bene culturale, ma quattro lauree sono troppe..E poi come si permette, io sono la contessa Augusta.” Mi sento svenire. Ma non c’è l’open bar? Dove sono quei bei camerieri in livrea che portano un Martini quando uno ne ha bisogno? Vedo che c’è un libro, un romanzo, su un tavolino pieno di fiori. Riuscirò a scriverlo dunque? Forse devo ritirare un premio.. Nonostante il vestito, mi muovo rapida in quella direzione per leggerne il titolo, ma vengo travolta da una fiumana di gente. Risuona a palla Last nigh DJ save my life. Che pezzo straordinario, penso. La gente balla si diverte, anche io ballo con loro. Ma comincio a sentire dei rintocchi, un martello, non è il tunz tunz, è proprio un martello pneumatico. Improvvisamente apro gli occhi. Vedo il soffitto viola. Il ventilatore gira. Il vicino ristruttura, ma cosa hanno da ristrutturare sempre in 40 metri quadrati? Il computer è acceso, devo scrivere il blog e digerire il risotto allo champagne.

Foto: Sandra Sansalone

I fuochi di San Pietro

fuochi123.20. Sono a letto, il primo mare stanca, sto leggendo Pornokiller e mentre mi chiedo come sia il color salnitro, arriva il primo rintocco. In realtà è un botto. Gli uccelli che abitano sugli alberi di Carignano lo sentono alcuni secondi prima e spaventati cominciano a far casino. Sono i fuochi della Foce che mi fanno pensare immediatamente dove fossi gli anni scorsi il 28 di giugno. Naturalmente non me lo ricordo. Forse a cantare Non ho l’età o Stupendo in qualche karaoke, ma l’importante è che se a quell’avviso solitamente avrei indossato la prima cosa sulla sedia e mi sarei precipitata sul ponte monumentale a vedere lo spettacolo colorato, questa volta no. Non so se sto cercando di capire qual è il mio sistema di rappresentazione preferito o semplicemente sto diventando vecchia. Abbandono Cubeddu e da dove sono comincio ad immaginare guidata dai rumorosi spari.

Lei sta per tornare a Torino col treno di mezzanotte, si è goduta fino all’ultimo la gita a Genova oggi, tanto mare, qualche bagno ed ora questo mercatino dove ha comprato il vestitino dell’estate. E’ certa che con quello smanicato a V andrà a ballare sabato sera e lo riconquisterà. Lui ha preso una cotta per un’ altra, l’ha vista l’ultima volta al Sun, ma in realtà le ha detto che non è più innamorato di lei. Non è vero. Basterà l’abito rosso, un po’ di vino e quelle scarpe che gli piacevano tanto e che aveva indossato proprio quando lui l’aveva portata a Genova a fargli dimenticare quella sciacquetta. Ed eccolo lo spettacolo dei fuochi: che bello sarebbe vederli con lui, pensa. Ma non riesce a godere neanche di questo piccolo attimo di felicità, da sola.

Per fare colpo l’ha portata al mare. Lui che Genova non la ama neanche tanto. Lei è bellissima, una bambina, anche lui si sente più giovane da quando la frequenta. E pensare che con la sua ex era finita da tempo, se non fosse arrivata questa ninfetta chissà quanto l’avrebbe trascinata ancora quella storia. Ma stasera di fronte a lui non c’è la sua ex, come l’ultima volta che avevano cenato lì e trovando una coda allucinante sull’autostrada per Torino si era pure incavolato. Ora farebbe tutte le code del mondo per star mezz’ora in più con lei che, sotto la luce di questi fuochi, è ancora più bella.

“Ma quanto beve e mangia sto vecchiardo” pensa. Da subito non le era sembrata una buona idea andare al mare, ma lui ha tanto insistito. Chissà se riusciremo a tornare a Torino prima che chiuda il Sun, c’è quel buttafuori che è proprio un manzo e tutte le volte mi guarda come se non ne avesse mai vista una. Poi mi può far fare la stagione gratis, sta alla porta di tutte le meglio discoteche di Torino, mica come questo poveraccio che stasera si sta spendendo il mese. Se continua a mangiare ostriche, non ci arriviamo in tempo dal manzo. Poi magari gli viene la colite in autostrada.”Caro, ci conviene andare prima che finiscano i fuochi, se no sai che casino”

Pum. Pum. Pum. Lo spettacolo pirotecnico è terminato, sono i primi che “sento” nell’estate ed ho espresso un desiderio, come quando mangio le prime ciliegie. Ma se lo dico non si avvera.

 

Estate di matti e supermercati

20150622_140716E’ iniziata l’estate e, come sempre, nei fine settimana, via Venti si svuota. Dalle radio risuonano i tormentoni e nei bar si sente ordinare pizza e cappuccino dagli stranieri. Vorrei vedere la faccia dei baristi, ma me la immagino e basta così. In giro per la città, oltre a me che solitamente dovrei studiare, rimane un’unica categoria: i matti. A Genova sono tantissimi. Tutti ne incontriamo, amiamo, odiamo, adottiamo, osserviamo, evitiamo  almeno uno al giorno o alla notte.Questa è la loro stagione: liberi girano per il centro soffrendo il caldo, che, meno detestabile rispetto al freddo, per loro è comunque detestabile. Per evitarlo e rigenerarsi, prediligono i supermercati, dove l’aria condizionata è altissima.

Il mio preferito è giovane, 35/40 anni, ha i dred, è alto e gira solitamente tra Carignano e via Venti. Per un po’ ho pensato fosse straniero, forse francese, ma poi mi hanno detto che è italiano. Ha uno sguardo dolce e adora il Carrefour. Solitamente lo si trova lì che monologa guardando i prodotti sugli scaffali. Li sceglie e confronta come una brava massaia. Parla a bassissima voce, non si capisce cosa dice, ma non disturba affatto. Dopo la sua “spesa” che dura ore, arriva alla cassa sempre solo con una lattina di Coca Cola. Ottima scelta penso, tutte le volte che lo vedo. Una volta ero in via Venti quando ho visto che è entrato da Desigual, negozio di abbigliamento etnico. Forse attirato da tutti quei colori accesi pensava che il negozio fosse la fabbrica della Coca Cola. Resosi conto dell’errore, è uscito un po’ stordito, sempre parlando a bassa voce, seguito solo dallo sguardo stupito della commessa.

Poi c’è quello di Albaro che solitamente si trova alla Lidl. Lui è veramente il più divertente. Non penso superi i 30 anni. Pelle olivastra, moro. Adora gli annunci. Si trova una buona postazione e comincia a fare la voce delle ferrovie italiane. “Il treno per Savona delle ore 14 e 15 arriverà al binario due. Si fermerà nelle stazioni di: Genova Principe, Genova Voltri, Arenzano, Varazze, Albisola, Celle Ligure, Savona. Ci scusiamo per il ritardo.” Quando si stanca delle ferrovie, si muove verso le casse e dice:“ Chiude cassa due e apre cassa quattro, din din, attenzione, vi chiediamo di riporre i vostri acquisti sulla cassa quattro. Grazie.” I cassieri lo amano molto, come tutti coloro che sono in coda.

Ma in questa città c’era chi giocava libero. Non aveva bisogno di supermercati, preferiva i luoghi chiusi come la galleria Mazzini o la stazione di Principe. Non era tematico, ma creazione, pura improvvisazione. Ogni tanto, quando cammino in via Venti, mi sembra di sentirlo. Qualche rumore, una voce roca, una frenata. Purtroppo poi alzo lo sguardo dai miei pensieri e non lo vedo. C’è un signore che parla al cellulare, normalissimo, ha solo la voce un po’ bassa. Lui, il mitico pittore folle, il mio dirimpettaio artista, non c’è più. I suoi insulti, che poi erano aforismi, non si sentono più. Nessuno è come lui e quando mi manca posso solo fare un bel giro al supermercato.