Nell’ultimo anno si è parlato tanto di bellezza. Tanto e male, secondo me.
Si dovrebbe avere una timidezza, un rispetto naturale, forse anche un po’ di timore ad usare questa parola per non perdere di vista il suo significato.
E invece Fazio a Sanremo, ogni cineforum Rai, la domenica pomeriggio Fininvest, davanti all’ape(ritivo), in palestra su tapirulan, mentre si fa la spesa, al cellulare, magari anche su What’s up (che non son certa perché non ce l’ho).
Insomma io vorrei parlare di bellezza, e per farlo di tre donne, che con questa hanno molto a che vedere: le protagoniste della mostra Torino alla mostra torinese Preraffaelliti l’utopia della bellezza. Ringraziando Dio aver studiato al Dams non basta per essere critici d’arte, dunque parlerò di moda, tanto cara a me e alla corrente artistica ottocentesca.
Monna Vanna, Sidonia von Bork e Ofelia.
Monna Vanna
La donna “vana” è stata dipinta da Dante Gabriel Rossetti nel 1866. Quello che mi colpisce è che, per citare Ma-donna, siamo di fronte ad una Ma-terial girl. Attenzione non parliamo di una prostituta, che importerebbe poco, ma di un’esibizione di ricchezza materiale e non di una rappresentazione di sentimenti intimi da parte dell’artista. Punto l’attenzione sugli accessori: chi mi conosce sa che li amo molto e parto da essi per costruire i miei outfit. Braccialetto bimano d’oro, anello a forma di foglia verde, orecchini pendenti indiani, la collana di corallo rossa a più giri e come girocollo un massiccio ciondolo di cristallo a forma di cuore. Più monili insieme proprio come faccio io, alla faccia di quelle che insegnano che l’eleganza è minimale. L’eleganza, secondo me, è saper accostare.
E qui c’è un qualcosa di ricorrente, il dettaglio più importante: il cerchio, la forma a spirale in cui Vanna faceva cadere, ipnotizzandolo, il maschio.
Tutte donne cattivelle queste, ma la matrigna sicuramente è la contessa Sidonia dipinta da Edward Burne Jones nel 1860.
La perfidia, simboleggiata dall’aracnide in fondo a destra, è rafforzata dalla ragnatela di ricami dell’abito in pendant con la retìna nei capelli della donna. Seducente e distruttiva, la van Bork mi sfida in tre quarti, con quell’aria nobile e distaccata, chiedendomi con lo sguardo:
“Lorusso dove lo trovi oggi un abito coi serpenti attorcigliati e biforcuti?”
Infine giungiamo all’immagine più famosa, l’Ofelia di Millais dell’1851-52.
Qui non voglio dire nulla, perché veramente la bellezza non si dice.
Ma si ascolta e si rincontra dopo secoli.
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