L’assemblea sindacale a scuola

790066 OCCUPAZIONE E ASSEMBLEE AL LICEO BERCHETOra che avevo imparato la strada per i vari plessi dell’istituto comprensivo dove lavoro, spunta un nuovo indirizzo, quello dove si terrà l’assemblea sindacale. Tra numeri rossi e neri si apre la caccia al tesoro per il liceo giusto. Giungo con l’aiuto di tre passanti: una mamma latino americana che trascina una bambina per mano e che mi indirizza nella scuola sbagliata, una ragazza che mi dà indicazioni continuando a parlare al telefonino ed infine un uomo che mi risponde con precisione, ma essendo sulle strisce, rischiamo di morire entrambi. Mancano dieci minuti all’inizio, ma l’aula magna è quasi vuota. La animano solo due o tre professoresse già precedentemente incontrate nei corridoi. Sento come un profumo di madeleine, una rimembranza di passato, ma penso che sia colpa del sonno. Mi serve un caffè. Chiedo alla bidella se la scuola è dotata di macchinetta e lei mi dice che è ai piani. Col suo tono vuole sottolineare che c’è, ma non per me. Decido per il bar, tanto c’è tempo. Cammino nella pioggia e ne incontro uno a dir poco retrò. Devo chiedere un decaffeinato perché, come ogni lunedì, ho già le mani tremanti a causa della copiosa dose di caffeina ingurgitata. Il rancoroso signore, dall’altra parte del bancone, prende una polvere nera da un Tupperware abbandonato in un angolo. Dato che gli altri bevono bianchini, penso di meritarmelo. In bagno non c’è l’appendiabiti e devo appoggiare la borsa sul pavimento. Forse merito anche quello. Al bancone una signora racconta la ricetta del pesto senza formaggio. Il proprietario si inalbera con lei ed anche con me dato che, a suo parere, il pesto senza formaggio non può esistere. Lei dice che ha il colesterolo alto, “Anche io“, annuisco. Si calma, pago ed esco. Entro nell’aula magna, riconosco la signora del pesto e la saluto. Si sono creati dei gruppetti, sono l’unica seduta da sola. La sensazione di déjà vu è sempre più forte. L’aula, molto lentamente, si riempie. Alle 8.40 inizia a parlare il sindacalista con un abito di velluto marrone proveniente dagli anni ’70. Ha una sua eleganza antica ed è credibile nella parte. Dopo l’esposizione, c’è il dibattito ed in un attimo mi trovo catapultata in un luogo lontanissimo della memoria: l’assemblea scolastica del liceo. Quella dove qualcuno rimaneva a casa a studiare, qualcun’altro parlava continuamente in fondo alla palestra e poi arrivava quello o quella, come ora la collega, che ci chiamava compagni e compagne e tutti applaudivamo. Insomma tutto uguale, a parte che oggi l’assemblea era composta del 95 per cento di donne e al liceo i capi rivoluzionari erano i fighi di terza e noi le sfigate del ginnasio. Intanto, sempre la stessa, grida: “Ma la lotta, compagni, dov’è? “Giunge il momento di votare, poi si torna tutti al lavoro. Questa è la vera differenza rispetto al liceo classico Manzoni, in cui prima di casa, si andava coi compagni a prendere le focaccine dal panettiere e le si mangiava chiacchierando di lotta e cambiamento.


Le It Bag non danno la felicità

poppaAvevo 18 anni quando conquistai il primo stipendio. Facevo l’ultimo anno del classico e cominciai a lavorare come intervistatrice telefonica per la Fiat. Mi sorbivo tutti problemi della Barchetta, allora tanto di moda, per guadagnare qualche soldo. Con la prima paga mi fiondai in un negozio vintage e comprai un boa di struzzo viola. Tornata a casa, potete immaginare lo sguardo dei miei. Gaetano e Lidia cominciavano a riconoscere in me alcune stranezze, che sarebbero solo peggiorate nel corso degli anni. Oggi, mi ritrovo finalmente con un lavoro pagato, dopo una fine 2015 fatta di prodezze ed invenzioni per sopravvivere. Il mio nuovo primo stipendio è da festeggiare, decido dunque di comprarmi qualcosa di speciale. Ma cosa, dato che, malgrado le mie ristrettezze economiche, ho comunque dato sfogo sempre alla mia miracolosa capacità di aumentare l’indice Pil del paese? Per una volta non vorrei niente di particolare o astruso. Desidero qualcosa che mi accomuni con il resto dell’umanità e che, in una parola, vada di moda. Per sentirmi una delle tante e far parte di un gruppo riconoscibile, scelgo l’It bag, la borsa del momento. Evitando, per chiare ragioni di budget, marchi di serie A+ come Vuitton o Gucci, vedo che da tempo impazza una marca che si chiama Lui Jo. Per capirci, sono quelle borse impreziosite da simpatici pon pon in ecopelliccia. Avevo visto l’imitazione da Zara, ma, con le varie malattie avute in corrispondenza dei saldi, mi era sfuggita. Chissà perché ero certa che la Lui Jo centrasse in qualche modo con la bella Jennifer Lopez, di cui avevo visto una collezione moda in qualche outlet. Quindi, entro in uno store e chiedo all’elegante e gentile commessa di spiegarmi la questione. Lei mi svela che confondo  JLo con Lui Jo e, neanche tanto sotto i baffi, mi deride. Ancora più convinta di dover possedere quel pezzo di storia della moda 2015, guardo le borse e scelgo per la Poppa. È comunque della scorsa collezione ed in saldo, perché lo stipendio c’è, ma non esageriamo. Decido per il rosso, ed esco con il mio sacchettone contenente borsa e portafoglio abbinato, naturalmente. A quel punto immagino di percorrere San Vincenzo volando, ma invece no. Cerchiamo insieme le possibili motivazioni: 1) Mi convinceva certamente più il giallo, colore notoriamente immettibile 2) E’ estremamente più bello comprare coi soldi degli altri rispetto ai propri. Questo è certo. 3) Provo un po’ di nostalgia nel non avere contribuito all’assicurazione del mirabile posteriore di Jennifer 4) Inaspettatamente, il quaderno dei valori che sto usando a scuola, sta avendo una certa influenza su di me. Citandone una parte: “Una coperta vale più di un diamante perché se hai freddo col diamante non ti riscaldi, ma con la coperta sì”. Razionalmente escludo l’ultima possibilità. È per giunta inesatta perché, non solo, vendendo un diamante si possono comprare milioni di coperte, ma, nel caso la pietra sia particolarmente grande, brillante e pura, si potrebbe ottenere dallo scambio una coltre di zibellino, come la ordinò a mio padre un emiro, dunque molto più calda di ogni altra al mondo. Forte di questa convinzione e per scongiurare ogni presa di posizione morale, corro a fare shopping con la mia nuova Poppa Bag!


Tra 365 giorni è Sanremo

tutto-sanremo-2016-300x211Il Festival 2016 è stato quello delle canzoni brutte, ma brutte davvero, che all’inizio pensi sia colpa del primo ascolto. Poi la seconda, la terza e la quarta volta, non migliorano. Quella di Alessio Bernabei, a mio parere, è la più brutta di tutte le 66 edizioni e vince anche su Pupo e Filiberto, che in fondo il Savoia non era un cantante. Le poche belle poi, sono finite in zona rossa, a rischio eliminazione. Quella di Neffa, un po’ stonato, ma che, essendo nato batterista metal, se la cava molto bene. Quella degli Zero Assoluto, che mi costa dirlo, ma si faceva ascoltare e quella di Noemi che aveva il testo più autentico, se siete donna rovesciate la borsa e dite di no.
Il Festival 2016 è stato quello della nostalgia, della Patty che interpreta un brano molto elegante, ma con una faccia così rifatta e nuova da poter rientrare nella categoria dei giovani, come ci fa ridere un comico. Dei Pooh, senza figli questa volta, ma stanchi e vecchi con Facchinetti che urla cercando quella voce che non c’è più e va lasciata in pace. Di Ruggeri che è l’unico rock, ma dimagrito, dimostra qualche anno in più. Di Cristina d’Avena che canta i Puffi con un vestito che la fa somigliare a Memole. Di Ramazzotti, che canta Terra promessa e di Laura Pausini che duetta con se stessa in La solitudine con annessa giacca cimelio del ’93.
Il festival 2016 è stato quello dei rapper napoletani. La canzone di Rocco Hunt ti si mette nella testa e non te la levi più. Clementino, nella serata dedicata alle cover, ha cantato Don Raffaè, uscendone indenne con mia grande sorpresa. E aggiungerei anche la salentina Dolcenera che, scoperta la sua eliminazione al Dopofestival, ha detto incredula: “Il mondo è capovolto”. Complimenti per la modestia, manco Morgan, di cui conosciamo l’ego importante, ha reagito così. Insomma sembrerebbe un disastro, ma il festival non è più la canzone italiana. Non principalmente, almeno. Il festival sono i nastrini arcobaleno che diventano braccialetti, cravattini, pochette durante l’esibizione, sono gli occhi blu di Garko che seguono il gobbo, la schiena incurvata della Raffaele-Belen, Conti che ci fa dimenticare la crisi e ci rilassa tutti meglio del Lexotan, il maestro Vessicchio che prende più applausi di Laura Pausini, il pubblico dell’Ariston che balla e si scatena per ammortizzare il costo del biglietto, Valerio Scanu che nel ritornello di Finalmente Piove canta Tunai Tunai e non ho ancora capito se dice tonight o tu non hai, la Michelin che torna bambina e dopo aver cantato dice che figata, gli Stadio che gli vuoi bene e se lo meritano a prescindere. E infine l’intervista di Ezio Bosso che è un antidoto meraviglioso per chi, come me, litiga spesso con la musica.
Tra 365 giorni è Sanremo.


In fondo al mar

diamante 2Io faccio l’extension alle ciglia. Mi siedo sul lettino di una algida russa che con grande maestria mi innesta questi peletti di volpe con una colla chirurgica. Detto così fa impressione, ma è molto peggio. Ho iniziato ad avere questo desiderio quando, dopo aver provato un mascara sensazionale, la mia amica mora e dallo sguardo luminoso, mi ha detto senza cattiveria:  “Cavoli, ora sembra che ce le hai anche tu le ciglia!” Sono bionda e loro pure, quindi si vedono poco. L’allungamento si fa una volta al mese: non è semplice, né indolore. La durata è dalle tre alle cinque ore, la mia russa vorrebbe fare una tirata unica, ma io dopo l’ora e mezza comincio a muovermi a scatti e a reclamare di voler andare in bagno. Lei che ha già iniziato a giudicarmi male dal leggero tremore neurologico, forse dovuto semplicemente dal terrore che mi provoca, si lamenta, ha un tono severo e mi dice che le donne russe sono molto più resistenti. Certo che lo sono, penso, hanno fatto la guerra. Se tutto questo è duro quando si sta bene, figuratevi dopo una settimana di influenza. Uno stress psicofisico mica da ridere, tanto che io ho cercato di rimandare inutilmente la seduta. Se salti di nuovo l’appuntamento dovremo rifare l’impianto, dice. No, questo mai. Mi presentai a settembre la prima volta, mi avevano detto che era la più brava e avevano ragione. Mi sdraiai sul lettino alle 17 e mi rialzai alle 21.30. Stordita, mi resi conto che nel delirio avevo lasciato le chiavi di casa ai miei genitori. Quindi ero mezza accecata e anche fuori di casa. Tornando a sabato, dopo dei dolori alla schiena lancinanti, la russa si è accanita particolarmente con l’occhio sinistro che infatti è stato iniettato di sangue per due giorni. Una semplice domanda: perché tanto dolore, perché? Per essere più bella nella settimana di Sanremo, per esempio. Dunque debbo uscire sabato sera. Se no, che gran spreco. Anche solo un giretto rapido, ma che dia un senso a tanta sofferenza. Comincio a chiamare le amiche: sono tutte coi fidanzati e quelle senza non hanno voglia di uscire. Le uniche due coraggiose vanno a Ponente, io non ho la macchina e non mi voglio ritrovare a Sestri, alle due, post influenzata, con un occhio iniettato di sangue e con l’allerta arancione. Dunque mi chiama un amico: accompagnami a mangiare, mi dice. Certo. Mi copro e mi metto il cappuccio ed in una birreria mi racconta la storia del brillocco. Era lei, l’ho capito dopo tempo, ma era lei. Chi? La mia ex, la donna che vorrei accanto a me, per sempre. Su uno scoglio di Portofino le ho fatto la proposta. Le ho dato un anello di diamante disegnato proprio rifacendomi al suo viso. E lei? Lei non ha accettato. Tanto che il brillocco, in preda alla rabbia, l’ho gettato in mare….Un lancio perfetto. Vuoi dirmi che nelle profondità stanziano 10.000 euro di solitario purissimo? No, ne avevo fatto una copia ed ho lanciato quella. Innamorato si, ma scemo no. Arrivo a casa, è solo mezzanotte, ma mi sento molto stanca. Mi addormento subito e comincio a sognare sirene dalle lunghissime ciglia che danzano in fondo al mare, tutte illuminate da quell’anello spettacolare, tutte innamorate di quella lucentezza, di quella menzogna. Una fede falsa, ma bellissima. Tremo, ho freddo, mi sveglio di soprassalto, mi è tornata la febbre.


L’influenza

IMG_20160128_222402I bambini sono portatori di germi. Cioè sono molto carini, ti abbracciano e ti vogliono bene, ma è proprio con queste dolci effusioni che ti attaccano qualcosa di sconosciuto e mostruoso. Soprattutto se:
1)Non hai figli a casa e quindi non hai sviluppato un esercito di anticorpi resistenti e combattenti
2)Hai fatto il vaccino e, come negli ultimi 5 anni, sei certo che non prenderai l’influenza.
3)Sei in una nuova scuola solo da un paio di settimane. La preside non ti conosce e potrebbe pensare che tu sia una assenteista.
Il risultato di questo insieme di fortunate variabili è che in pochi giorni hai la febbre alta e dolori innominabili. I primi tre–quattro giorni non distingui più il giorno con la notte e l’unica attività che fai è dormire. Personalmente appena riesco a mettermi in piedi per avere una minima soddisfazione o gioia mi trascino verso la bilancia dove però la colonnina non cambia. Mai.
Poi rimangono i giorni più lunghi. Quelli che chiamo jo-jo. Febbre alta, tachipirina che la abbassa, poi finisce l’effetto del paracetamolo e di nuovo si alza la temperatura in modo da aver bisogno di una nuova somministrazione, in una sorta di ciclo eterno e diabolico. Ma è quando si ha 37,5 che bisogna inventarsi qualcosa. Per occupare la mente e lo spirito. Per sopravvivere alla noia. La mia prima risposta, come d’altronde da sana, è la televisione.
Partirei da due semplici premesse.
Chiunque guardi le trasmissioni del pomeriggio può pensare di avere la febbre per giustificare quello che sta vedendo.
In caso sia completamente sano, quello che vede può comunque portarlo ad un aumento notevole della temperatura corporea.
Detto questo, il caso della settimana scorsa è stato Ivana Spagna vs la sua sosia Wanda Fisher. Pare che la signora Fisher, malgrado nell’aspetto identica all’interprete di Easy Lady, non si identifichi nella sua sosia. Si presenta come una cantante che nel suo repertorio variegato ospita qualche brano di Ivana. E’ vero dunque che la Fisher si spaccia per lei rubandole serate, per giunta trattando male i fan e rifiutando gli autografi, come dice la bionda cantante?
Il meriggio si divide. Barbara D’Urso nel Pomeriggio 5 con Wanda e Cristina Parodi nella Vita in diretta con Ivana. Chi vincerà? Ai posteri l’ardua sentenza.
La seconda attività, in questi giorni di malattia-convalescenza, è il flauto dolce. Per la gioia dei vicini di via Venti, che se rido forte mi sentono, mi esercito quasi tutto il giorno, mandandoli quindi al manicomio. Anche se con qualche problema respiratorio, riesco anche dal letto. Ma la cosa bella è che, per loro, scelgo da repertori diversi a seconda del mio stato d’animo: Medioevo, Rinascimento, Barocco. Ieri ero molto arrabbiata, nervosa e ho scelto La marcia del Reggimento della Turenna. E subito mi sono materializzata nella neve, camminando insieme a qualche soldato che ogni tanto crolla a terra e lottando contro bufera e nemico. Invece per il Rinascimento interpreto Gagliarda di Vincenzo Galilei, padre di Leonardo. Nel mio immaginario, più hippy che rinascimentale, mi vedo in qualche campagna con i capelli intrecciati di fiori, il sole e la prateria. Insomma, gli abitanti di Ventialventi si augurano, per la serenità delle loro orecchie, che La Minavagante guarisca presto e torni a fare shopping come una volta.