tutto-sanremo-2016-300x211Il Festival 2016 è stato quello delle canzoni brutte, ma brutte davvero, che all’inizio pensi sia colpa del primo ascolto. Poi la seconda, la terza e la quarta volta, non migliorano. Quella di Alessio Bernabei, a mio parere, è la più brutta di tutte le 66 edizioni e vince anche su Pupo e Filiberto, che in fondo il Savoia non era un cantante. Le poche belle poi, sono finite in zona rossa, a rischio eliminazione. Quella di Neffa, un po’ stonato, ma che, essendo nato batterista metal, se la cava molto bene. Quella degli Zero Assoluto, che mi costa dirlo, ma si faceva ascoltare e quella di Noemi che aveva il testo più autentico, se siete donna rovesciate la borsa e dite di no.
Il Festival 2016 è stato quello della nostalgia, della Patty che interpreta un brano molto elegante, ma con una faccia così rifatta e nuova da poter rientrare nella categoria dei giovani, come ci fa ridere un comico. Dei Pooh, senza figli questa volta, ma stanchi e vecchi con Facchinetti che urla cercando quella voce che non c’è più e va lasciata in pace. Di Ruggeri che è l’unico rock, ma dimagrito, dimostra qualche anno in più. Di Cristina d’Avena che canta i Puffi con un vestito che la fa somigliare a Memole. Di Ramazzotti, che canta Terra promessa e di Laura Pausini che duetta con se stessa in La solitudine con annessa giacca cimelio del ’93.
Il festival 2016 è stato quello dei rapper napoletani. La canzone di Rocco Hunt ti si mette nella testa e non te la levi più. Clementino, nella serata dedicata alle cover, ha cantato Don Raffaè, uscendone indenne con mia grande sorpresa. E aggiungerei anche la salentina Dolcenera che, scoperta la sua eliminazione al Dopofestival, ha detto incredula: “Il mondo è capovolto”. Complimenti per la modestia, manco Morgan, di cui conosciamo l’ego importante, ha reagito così. Insomma sembrerebbe un disastro, ma il festival non è più la canzone italiana. Non principalmente, almeno. Il festival sono i nastrini arcobaleno che diventano braccialetti, cravattini, pochette durante l’esibizione, sono gli occhi blu di Garko che seguono il gobbo, la schiena incurvata della Raffaele-Belen, Conti che ci fa dimenticare la crisi e ci rilassa tutti meglio del Lexotan, il maestro Vessicchio che prende più applausi di Laura Pausini, il pubblico dell’Ariston che balla e si scatena per ammortizzare il costo del biglietto, Valerio Scanu che nel ritornello di Finalmente Piove canta Tunai Tunai e non ho ancora capito se dice tonight o tu non hai, la Michelin che torna bambina e dopo aver cantato dice che figata, gli Stadio che gli vuoi bene e se lo meritano a prescindere. E infine l’intervista di Ezio Bosso che è un antidoto meraviglioso per chi, come me, litiga spesso con la musica.
Tra 365 giorni è Sanremo.

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