La scorsa settimana, per vincere la nostalgia di Sanremo, mi son regalata due serate Rai.
La Fiction in due puntate Studio Uno e il film per la tv Dalida.
Entrambe, in modi diversi, mi hanno stupito.
Studio Uno. La storia romanzata del programma andato in onda nel 1961 e di tre signorine che ci lavoravano.
La ragazza madre che, pur essendo stata presa in sartoria, vuole fare la cantante senza scendere a compromessi. In modo più o meno realistico sposa un bravo ragazzo e canta solo più al suo matrimonio.
La ballerina che va avanti solo a compromessi e si redime innamorandosi dell’integerrimo capo del corpo di ballo. Che nella realtà sarebbe stato gay.
L’impiegata carina, ma senza laurea che diventa assistente alla regia di Antonello Falqui e in preda ai grilli del successo, lascia un quasi marito, per giunta ingegnere, per un ragazzotto figlio di papà. Dopo un bacio, questo l’avrebbe lasciata per la prima soubrette a caso.
Ma una cosa bella c’era.
Mina.
Mina è sempre bella e ve lo dice una che ne fa quasi un senso della vita.
E quando ha visto le tre signorine pubblicizzare a Sanremo la fiction, si è incuriosita solo per come l’avrebbero rappresentata.
Ed ecco la trovata registica Rai: pur essendo la vera protagonista, dato che era l’anima di Studio Uno, Mina non si vede mai.
Se non di spalle, di sfuggita, di corsa.
Per vederla frontalmente dobbiamo entrare nella tv in bianco e nero.
Quella nella sala regia di Falqui, nelle case delle persone, nei bar.
Ma anche quella nella memoria dei nostri genitori, forse gli unici insieme a me, davanti alla tv la sera di San Valentino.
Quella che canta, si vede e si sogna nella fiction è la Mina vera.
La stessa, anche se sembra impossibile, che ora duetta con Celentano ed è la voce di Tim, Tim, Tim con quel ballerino indemoniato a cui volentieri sparerei.
Molto bello. Grazie Rai.
Dalida. Delicata. Disperata. Bellissima. Sola. Bulimica d’amore e di vita.
Ad un certo punto un produttore dice che la sua musica è troppo vecchia per gli anni ’60.
Incoraggiante, dato che è la stessa musica che faccio io nel 2017.
Davanti ai suoi occhialoni neri, passano in rassegna amori e canzoni.
E la traduzione dei testi in italiano sullo schermo.
Cercando di toglierle gli occhiali, i suoi uomini la amano fino ad alcolizzarsi, a tradirla, ad uccidersi.
L’effetto che vorrei fare ai miei, senza riuscirci.
Ma Iolanda, vero nome di Dali, è una donna vittima della sua fatalità.
Fino a vomitar pasta per non ingrassare.
Per fermare tempo e taglia.
Ogni domenica si riempie la casa di amici, perché, quanto ha ragione, è il giorno più solo della settimana.
Si riduce a stare in casa con le luci e le persiane abbassate a causa del male agli occhi.
Un male dentro che le rende la vita insopportabile.
Bello, davvero. Grazie ancora Rai.
Lascia un commento