Seconda settimana di quarantena
Questa mattina ho sognato i pesci.
Dico mattina perché entro tardi nella fase REM del sonno.
Per quello di notte dormo male.
Ma stamane è l’ora giusta, quella delle campane di mezzogiorno e quindi rimango piacevolmente avvolta nel mio sogno.
Sembra che gli animali in questa pandemia stiano uscendo allo scoperto. Che si riprendano lentamente il loro posto sulla terra.
A Genova sembrano lupi quelli che recuperano il Righi e i cinghiali girano tranquilli nelle strade di San Fruttuoso. Gli uccelli, come in un film di Hitchcock, si godono lo spazio di piazzale Corvetto e i topi, che prima stanziavano soprattuto nei vicoli del centro storico, prendono senza fretta il possesso della zona attorno a via Venti.
Ai pesci, invece, tocca solamente un mare sgombro e almeno un po’ più pulito di prima.
O, ancora peggio, perché identico per quelli dell’Acquario del porto antico.
Il mondo acquatico non gode, dunque, di particolari privilegi dovuti al Covid19.
Tralasciando i delfini giocherellanti nei porti, che secondo me, anche con le navi, l’avrebbero fatto solo un po’ più a largo.
E, quindi, nel mio sogno i pesci si lamentano.
Dal cavedio mi raggiunge una musica ritmata.
La ragazza della finestra di fronte sbatte qua e là la sua lunga coda bionda durante una sessione di aerobica casalinga.
Si mette sulle spalle un grande zaino da vacanza pieno di bottiglie d’acqua e fa degli squat.
La prima volta che l’ho vista intenta in quella attività, credevo avesse trovato un modo furbo per fare la spesa.
Vive con il fidanzato in 45 metri e per loro questo periodo è come una vacanza forzata.
Semplice, come dovrebbe essere l’amore.
Io la guardo, sperando in un cenno di saluto, ma lei non si rivolge mai verso di me, come se fossi invisibile.
La sua attività fisica mi procura ansia e questa volta sono io a chiuderle la tenda in faccia, come fa lei quando si appresta all’ intimità settimanale col fidanzato.
Da sopra sento che il vicino sta pulendo casa.
Forse anche nel tramestio di ieri sera, quando spostava i mobili.
Lo sento canticchiare quando l’aspirapolvere tace: starà ascoltando la musica con le cuffie. Ma non riesco a cogliere la canzone, dato che la intona a bassa voce.
Pulisce costantemente.
Se il virus si combattesse così sarei già morta.
Altri cercano di debellare la malsania cucinando, ma anche loro non mi invogliano a farlo.
L’unica cosa che mi fa invidia degli altri sono i gattini.
Non ho mai avuto animali domestici, i felini mi piacciono liberi e nei cortili.
Ma ora darei qualsiasi cosa per avere un caldo, tenero e peloso essere vivente vicino.
In realtà mi accontenterei anche delle piante del mio attico.
Vorrei scrivere questa autocertificazione per mostrarla alla polizia, in caso mi fermasse:
“La sottoscritta dichiara che si è recata presso il proprio indirizzo di residenza per evitare la morte delle proprie camelie.”
Perché mai i cani sì e i fiori no, agente?
La vera paura però è quella di incontrare il mio ex compagno, magari insieme alla sua amante con cui sono certa stia passando una quarantena d’amore.
Chissà quando ha iniziato a tradirmi.
Mi sarei aspettata una crisi passeggera, ma non pensavo potesse avere il coraggio di lasciarmi dopo 12 anni.
Nei film non lasciano mai le mogli.
In contemporanea a questo pensiero, la bionda davanti chiude la tapparella.
L’isolamento, per quanto mi riguarda, rafforza la differenza tra il dentro e il fuori.
Il dentro è quello con cui ognuno di noi è obbligato a combattere. Che è sempre uguale, anche in questi giorni.
La soggettiva.
Io, per esempio, facevo già vita ritirata.
Sto laureandomi in pedagogia per diventare insegnante.
Ma coi turni da educatrice e la mia fame di sonno è durissima trovare il tempo per studiare.
Quindi utilizzo le sere e i week end.
All’oggi non mi manca uscire.
Mi manca solamente l’amore.
E non posso nemmeno dare la colpa alla Quarantena.
L’atto d’acquisto dell’attico: tre mesi e 36 giorni fa.
E dopo un paio di mesi se l’è filata.
Giusto il tempo di comprare e montare i mobili.
Quando era tutto pronto, da un momento all’altro è scomparso, come nelle migliori barzellette in cui i mariti vanno a comprare le sigarette.
“Mi sono innamorato. Non ci volvevo credere nemmeno io, ma ora non posso più vivere senza di lei. Se riesci ad estinguere la parte di mutuo l’attico è tuo”.
Mi ha scritto su un foglietto.
E come faccio a estinguerlo se il mutuo ce l’hanno dato grazie alla sua busta paga?
E poi c’è il fuori.
Da una parte la gente che canta Azzurro, l’Inno di Mameli e De Gregori affacciata ai balconi.
La stessa del Ce la faremo gridato a squarciagola, dell’Andrà tutto bene e degli arcobaleni disegnati dai bambini e poi attaccati sui portoni.
Dall’altra quella che cerca l’untore, il paziente zero, l’uomo senza mascherina.
Odiare chi ha il cane perché così può portarlo fuori e uscire, insultare chi va in farmacia per prendere prodotti di bellezza perché ci sono anche al super.
Per non parlare dei protagonisti dell’eterno dilemma tra passeggiata sì o passeggiata no.
E se jogging sì, bici no?
Ma se jogging no, bici sì.
È tutta colpa dei milanesi.
Bisogna far arrivare l’esercito.
Ma chi è il nemico?
Da cosa si scappa quando si scappa da un virus?
Esco per buttare la pattumiera.
Vedo un biglietto.
Butto il sacco per terra con rabbia, non posso attendere nemmeno un secondo.
Voglio correre dal vicino in preda a quell’ira che mi brucia dentro e mangiargli la faccia. Gridargli contro tutto il dolore che ho come un’arma nucleare.
Il biglietto dice:
“Scusami, anche se questo non mi giustifica, ho dei problemi.”
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