Terza settimana di Quarantena

Agosto 1920
Cara Nenna,
io e Maria abbiamo deciso di lasciare Locana ed tornare a Serlone.
Porteremmo anche te ma, date le tue condizioni, temo sarebbe troppo pericoloso nel caso avessi bisogno di partorire prematuramente.
La nostra è una vera e propria fuga dal terribile morbo.
Come sai coglie coglie più i giovani dei vecchi e questo mi spaventa terribilmente per le nostre due giovani figlie.
Sicuramente un giorno entrambe capiranno questa decisione.
Franca, per fortuna, si dedica ancora ai giochi e la montagna non può che lasciarla più libera e felice di correre dietro ai cani e alle bestie.
Nei prati e tra i fiori, proprio dove la vorrei vedere nei prossimi mesi.
Lidia, la primogenita, troverà più doloroso allontanarsi dalle amiche e sopratutto dai sabati sera alla balera di Cuorgnè. È, infatti, in età da marito.
Non abbiamo ancora avuto il cuore dirle che risaliremo subito.
Siamo tornati da lì solo la scorsa settimana e lei dovrebbe iniziare a giorni l’ultimo anno di superiori in città.
Io e Maria abbiamo fatto entrambi studi di ragioneria e sono sicuro che con nostro aiuto potrà dare gli esami come privatista.
Nel caso non riuscisse a diplomarsi, ripeterà l’anno senza che nessuno se ne rammarichi.
I malati in città cominciano a diventare troppi.
Un amico mi ha raccontato le terribili complicanze della virulenza.
Un suo vicino ha avuto un’emorragia dalle mucose, in particolare dal naso.
Un altro conoscente dallo stomaco e dall’intestino.
E addirittura all’osteria uno raccontava che il sangue può uscire dalle orecchie e si può sudare fino a rimanerne senza.
Non posso pensare alle mie care ridotte in quel modo.
Abbiamo deciso di portare anche la zia Nina.
Dato che è sordomuta non può rimanere sola.
Poi ama molto l’aria di montagna, forse perché in alto è più facile stare in silenzio.
Salutami tutti i cugini e le cugine che non siamo riusciti a rivedere.
Partiremo domani prima dell’alba e cercheremo di arrivare entro sera.
La strada di notte si riempie di lupi.
A presto e che Iddio ti protegga insieme alla tua famiglia e al piccolo che porti in grembo.
Tuo zio,
Giuseppe.

Mio padre oggi al telefono mi ha raccontato questa storia della famiglia di mia mamma ed ha accennato ad una lettera che era arrivata alla mia bisnonna quando era incinta di mio nonno.
Fu l’unica cosa che rimase di loro.
Mio nonno l’ha conservata nella casa di montagna.
I miei parenti non morirono nel tragitto come si potrebbe immaginare, dato che era un viaggio duro per una famiglia in quel periodo.
Arrivarono sani e salvi dopo che camminarono fino alla tarda sera.
Ma nella notte, proprio mentre dormivano ormai tranquilli nella casa di Serlone, li travolse una valanga.
Li trovarono gli alpini, dopo che furono informati il giorno successivo della calamità dalle zone vicine.
Addirittura quando i giovani militari scavarono per cercare di soccorrere la famiglia, sotto alle pietre, si narra che le bestie fosssero ancora calde.
Morirono tutti.
Il padre Giuseppe, la madre Maria, le figlie Lidia e Franca.
E naturalmente Nina, la zia sordomuta.
La nipote Nenna, invece, sopravvisse alla Spagnola in città.
Per non turbarla non le dissero niente della tragedia fino a 4 mesi dopo quando partorì Mario, un bambino forte e sano.
Quello che divenne mio nonno.
Mentre mi chiedo cosa sia il destino, il vicino di sopra accende una di quelle casse musicali che si comprano nei negozi cinesi.
Una voce metallica di donna dice  “Bluetooth on”
Subito non riconosco il pezzo.
Poi uno ad uno entrano cantando, fino al ritornello che fanno insieme.
Sono i Ricchi e Poveri e il brano si chiama Come vorrei.
Penso di ricordarlo perché quando ero piccolissima i miei guardavano in tv Portobello di Ezio Tortora e questa era la sigla finale della trasmissione.

Come vorrei.
Come vorrei amore mio
Dovrei capirti quando vedo che vai via
E non amarti quando non vuoi farti amare
Senza cadere in una nuova gelosia
Che solo tu mi fai provare

La canzone racconta la sofferenza provata da due innamorati per la fine della loro storia.
Forse il destino vuole ricordarmi il mio ex o forse è soltanto normale per chi ha il cuore spezzato identificarsi in un pezzo così.
Le chiavi dell’attico le tengo sempre a vista.
Lì ci sono ancora molte delle nostre cose e in particolare c’è una scatola per me.
È piena di prodotti di bellezza della mia marca preferita.
Ogni volta che lui me ne comprava uno lo metteva lì.
E io, quella scatola, non l’ho mai aperta.
Era un gioco tra di noi.
La conservavo gelosamente per un momento di vera difficoltà.
Forse lo stesso motivo per cui non ho visto tutti i film di Kubrick.
Me ne tengo un paio come una speranza.
Come un appuntamento certo, ma in un futuro prossimo.
In un giorno di sole andrò nell’attico a prendere la mia scatola.
Non per aprirla e godermi quei ricordi.
Ma per tenerla chiusa per tutta la vita.
Prima di buttare la spazzatura attacco un biglietto sulla porta del vicino di sopra.
Ti piacciono i Ricchi e Poveri? Io li adoro.

 

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