Poeti maledetti o maledetti poeti?

io e bono

Il ventiduesimo Festival della poesia di Genova, con mio grande rammarico, si è appena concluso. Per me è stato:
Poetry slam con gli orsi che leccano via la tristezza di Filippo Balestra e i giovani poeti che bevono birra nel meriggio del cortile del Ducale
Gli amorazzi di Max Manfredi e le giacche, poesia pura, del direttore artistico Claudio Pozzani
Alda Merini che, attraverso la voce di Alessio Boni, mi racconta di amori infelici che sembrano i miei. Che se già era la mia poetessa preferita prima, dopo avermi fatto conoscere quel gran bono del Boni, non posso che ringraziarla per sempre.
A chi mi chiede
quanti amori
ho avuto, io rispondo
di guardare nei boschi
per vedere in quante
tagliole è rimasto
il mio pelo.
A. Merini
Sembra di sentire il mio Piero Ciampi che canta Tu no, tu no, tu no…ma no, tu no, tu no, tu sei Bobo Rondelli!
Mi son persa la gita al Vittoriale di D’Annunzio ieri, ma partenza alle otto e mezza di domenica mattina… manco per i poeti!
10 giorni così, portano persino la Minavagante, su una spiaggia libera attrezzata, a comporre..
Spiaggia di giugno
Chi si cambia impacciato col metodo dell’asciugamano, che è il più vecchio del mondo, ma è un attimo che ti cada di mano
Chi, invece, tra topless, perizoma e tribale sopra al sedere, sarebbe meglio, se qualcosa, non ce lo facesse vede
Quelli che bevono la Ceres alle 13, sotto il sole, che non ho mai capito come fa a reggergli il cuore
Quelle che costume, copricostume ed infradito devon essere tutti uguali, un rito! e quelle che, ci vengon in reggiseno, malgrado quello dentro, non sia neanche bello pieno
Quelle che il culetto, sulla pedana tutto l’inverno, l’han reso perfetto. Ma anche quelle che, pur se magre, son piene di cellulite e raccontano alla vicina “Sa, è colpa della gastrite”
Le russe che si vede son lì per rimorchiare e le italiane, che si vede meno, ma comunque vanno in spiaggia per beccare
I palestrati che, se il risultato è questo, era meglio se si mangiassero, di lasagne, strati
E quelli che si fan i selfie, Dio mio, che per fortuna non ce li ho tra gli amici di facebook, io!
E tutti, con quegli strani occhiali polarizzati, mi fan sentire come se ad un film dei Vanzina, fossimo destinati
Nessuno, a giugno, viene in spiaggia per il mare, poveretto. E infatti appare vuoto, solo e anche un poco freddo.
M.V


Facce da scrittori

facce 1La domenica io vado in Feltrinelli. Nei giorni di festa, anche, mi potete trovare in Feltrinelli. Appena fa brutto e son sola, ultimamente tutti i fine settimana, mi reco in Feltrinelli. Ma non per i libri, quelli li compro Remainders o, tuttalpiù, usati al Libraccio. M’incammino verso via Ceccardi per il bar situato al piano terra del bellissimo e labirintico palazzo-libreria. L’avrete visto di sicuro, ma avete mai provato a sedervi ed ordinare qualcosa? Il caffè è di qualità, il luogo interno e profondo, mai affollato e certamente di nicchia. Ai tavolini potrete trovare:
Insegnanti che correggono i compiti
Amici sempre in due, a volte uomo e donna, a volte donna donna, raramente uomo uomo, che si raccontano le loro storie d’amore un po’ balorde
Uomini soli, che scrivono sul tablet chissà che cosa
Qualcuno che impara il francese ascoltando mp3
Chi mangia ignaro un’insalata
Coinquilini che discutono per le bollette
E poi ci sono quasi sempre io: a volte al tavolino, a volte allo
Star lì è un po’ come essere al cafè le Dome di Montparnasse a Parigi agli inizi del secolo. Da un momento all’altro mi aspetto che arrivino Hemingway, Modigliani e Picasso a bersi un Pernod. Poi, come per magia,  guardo in alto e sono circondata davvero da scrittori. Io ho riconosciuto Gianrico Carofiglio per la serietà, Carlo Lucarelli dal blu che lo circonda, Oriana Fallaci per la forza dello sguardo, Fernanda Pivano nella profondità e leggerezza insieme, Umberto Eco per l’ironia evidente, Niccolò Ammaniti perchè si vede, Margaret Mazzantini che è bella e infatti ha beccato Castellitto, Italo Calvino me lo hanno detto, ma è il mio preferito perchè sorride, Gabriele D’Annunzio dall’eleganza…Ma anche Virginia Woolf che non so se è più bella o più malinconica e Lev Tolstoj per la barba lunga….Tutti questi personaggi, ritratti in fotografie, ti guardano e sembrano giocare con la loro identità, chiedendoti chi sono. Ne individuo pochi con certezza, ma in mezzo a quelle foto mi sento rassicurata come a casa. Come tra le mie scatole di scarpe. Come non fossi sola. Lì posso immaginare e desiderare qualsiasi cosa, tanto Marilyn Monroe mi protegge dall’alto… E davanti a me chi sorride? Evita Peron? Gwen Stefani? E accanto a lei, quella con quello strano cappello chi è? Amelie Nothomb, mi suggeriscono. Dalla prima volta che ho visto tutte quelle foto, faccio un gioco. Come il principe azzurro cerca quella che calzi la scarpetta, io cerco chi è in grado di individuare tutte quelle facce. E anche se non corrisponderà a verità, potrà anche bluffare, se è capace.
La Minavagante proclama dunque, a tutto il regno di Venti Settembre, che chi riconoscerà le foto, avrà diritto a ciò che le batte nel petto. Accorrette, dunque, e partecipate al gioco: un cuore trafitto e riappiccicato, ma certamente campione olimpionico d’amore, può sempre servire.

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Le rose di Santa Rita 2

rose 21 euro e 50 centesimi, bianca e benedetta, venduta da Giuseppe, che stamane si è alzato alle quattro e quaranta e ha ricevuto le rose dal camioncino alle cinque e dieci, in piazza Manin. Altare di Santa Rita, Chiesa della Consolazione, Genova.

Santa Rita fai che le mani mi tremino di meno, ogni giorno le sento peggiorare, come se volessero scapparmi dalle braccia. Non riesco neanche più a prendere il caffè senza quella incapace di Pedra, la mia badante, che non sa fare proprio niente. E se non fosse per mia figlia Giulia, l’avrei già licenziata.

1 euro, rossa, non benedetta, venduta da Maomed che le rose le ha ricevute ieri notte, le ha tenute nel camion e ci ha dormito in mezzo. Altare di Santa Rita, Chiesa della Consolazione, Genova.

Santa Rita se fai tornare Giovanni ti giuro che mi comporto bene. Non mangio più la torta al cioccolato, che poi un’ora di gambe e glutei non basta per buttarla giù. Non vado più a dormire dopo le dieci e mezza, per vedere la replica di Uomini e donne, se il giorno dopo ho scuola. Non dico più che la mamma è una stronza, quando mi sgrida perché non le piace come parlo. Non fumo più una sigaretta, che questo Santa Rita mi raccomando, non lo sa proprio nessuno tranne te e la Dani. Non scrivo più al Luca su wuozap che tanto, comunque, non mi caga. Studio anche inglese e mi faccio interrogare, se fai tornare il mio amore. Che alla fine, al Luca, ho solo dato un bacio. Ed era pure a stampo.

50 centesimi, rosa, non benedetta, comprata da Assef. L’egiziano le ha ricevute due giorni fa, appena fuori Genova, per questo sembrano già un po’ appassite. Comodino, secondo cassetto di casa, Quezzi alta, Genova.

Mi ha raccontato la zia Caterina, che è così che si fa. La faccio seccare in un foglio del Secolo, appendendola a testa in giù. Poi la metto in un sacchettino di quelli che ti danno coi vestiti per i bottoni. A quel punto la infilo nel comò e così lei mi protegge. La Santa, non la rosa. Ne ho tanto bisogno che quest’anno ho visto più medici che raggi di sole. Son tutti uguali quelli lì, parlano poco e son sempre pessimisti, come se fossero Dio, ma più cattivi. Non si rendono conto che stanno trattando con delle persone e neanche più tanto giovani, come nel caso mio. Ma ora ho la rosa e sarà lei a farmi stare meglio, mica quel branco di imbroglioni che non capiscono niente e l’unica cosa che sanno sono i paroloni che hanno in bocca.

2 euro, blu, venduta da Edoardo, il fiorista di Albaro. Gli è stata portata insieme alle altre, stamane alle sei, in negozio, come tutte le mattine. Materasso di casa, Corso Italia, Genova.

Santa Rita sta andando bene, malgrado la crisi. Mi chiamano sempre di più per suonare all’estero. Sembrerebbe che il mio tocco renda Chopin più Chopin, ha detto il Sarfatti, uno dei più grandi e temuti critici del momento. Ma devo starci sempre attento a quella tendinite. Dunque, come diceva maman, una rosa per santa Rita sotto il materasso e passa tutto, bambino mio. Quanto mi manca mamma. Lei che per prima mi ha fatto sentire il larghetto in sib minore. Lei che mi faceva stare sul piano, malgrado avessi suonato tutto il pomeriggio e si vedeva dalla faccia che non ne poteva più. Mi ha insegnato a resistere. Perché è fatta di quello la vita, resistenza. E mi hai insegnato ad amare i notturni. Mi diceva sempre che ero nato alle due e che quella luna era stata la più bella della sua vita.

Il 25 maggio si festeggia Santa Rita e i fedeli di tutto il mondo la omaggiano con delle rose. Alla Santa piaceva questo fiore, perché la sua bellezza resiste alle spine che lo circondano. Allora un giorno di gennaio, malata, nella sua cella monastica di Cascia, chiese ad una cugina di portarle da Roccaporena una rosa della sua terra. Naturalmente, malgrado il freddo, questa fiorì ed avvenne il miracolo.


Nella dispensa

antitarmeUna bottiglia di Cointreau per un poeta maledetto.Una bottiglia di whisky per un chitarrista sempre afono.Una bottiglia di Chianti che, diversamente dalle altre, non è neanche stata aperta. Una tisana relax all’agrifoglio. Una tisana detox alla menta.Camomilla come se non ci fosse un domani.Una tisana digestiva, al finocchio.
L’altra sera, in mezzo agli spritz degli altri, ho ordinato una tisana. Mi arriva teiera cinese bellissima con scatola porta tè. Vedendola, la riconosco come la casa perfetta per la detox, la relax, la camomilla della dispensa. Nei giorni seguenti la cerco, la trovo, è mia. A casa, col bottino, apro lo sportello e vedo quanto non mi sarei mai aspettata in via Venti: un gruppo di bestioline marroni che banchettano. Prima si ammazzano di tisane e poi si fanno un colpetto in allegria. Tra detox e whisky.. come in una brutta canzone del Liga. Ubriache, ma detossinate. Per un po’ le guardo incantata, immagino di stare con loro e di centrare qualcosa con il banchetto, come se avessi dato il brutto esempio in qualche modo. Poi reagisco. Metto tutto sul tavolo che si riempie di animaletti, difficile mantenere la calma. Penso di bruciarle, di sparare ad ognuna.. dunque prendo la cosa più vicina, lo Chanel n. 5 e comincio a spruzzarglielo contro. Stecchite, ma col migliore profumo della storia addosso. Anche io vorrei morire così, davvero. Insetti silenziosi, poteva andarvi molto peggio.. Fatta pulizia, mi devo occupare della dispensa. Il panico non è passato, ma ricordo di aver comprato un Autan apposta, appena arrivata a Genova: dei fogli da attaccare in dispensa, senza insetticidi, per stare in mezzo agli alimenti.
Ed ecco, come una tassa nella mia vita, giunge l’errore.
Piccola preghiera: Francesca, qualsiasi cosa nuova che incontri, che sia un essere umano, un telefono o un pesticida, te ne prego, leggi prima le istruzioni.
Se per gli esseri umani è un po’ più complicato, anche se certi segni sono inequivocabili, per le cose è quasi sempre presente un libretto di istruzioni.
1 Togliere la striscia rossa sul retro e posizionare il prodotto sull’anta della dispensa
2 Solo ora togliere il foglio protettivo della parte anteriore.
3 Solo a questo punto si attiverà il prodotto che sprigionerà naturalmente un ferormone che attrae il maschio delle tarme alimentari, tanto ghiotte di sementi, lo intrappola grazie alla colla e ne impedisce quindi la riproduzione.
Spaventoso, penso.
Si potesse fare con il maschio degli umani, penso.
Ma naturalmente non leggo le istruzioni. Ed ecco cosa succede:
1) Tolgo per prima cosa il foglio protettivo della parte anteriore del foglio. Per farlo, metto le dita di entrambe le mani sopra alla colla, mi attacco e mi impregno di odore attira maschio tarma. Le dita sembrano incollate in modo definitivo. Per l’eternità.
3) Giro per la casa con sto coso attaccato alle mani per mezz’ora, fino a quando, staccando anche pezzi di pelle, non me ne libero.
Riesco comunque ad attaccare il foglio alla dispensa con dello scotch e distrutta vado a dormire.
Da allora, ogni mattina, controllo sempre se la disinfestazione è partita, ma il foglio rimane immacolato. A parte i pezzi di pelle della mia mano, naturalmente.
La domanda è questa: se il maschio della tarmetta non viene attirato dal foglio, da cosa e soprattutto dove viene attirato?
Vado a lavarmi le mani, un’altra volta. E dato che ci sono, anche una controllatina tra le lenzuola…

 


25 Aprili

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Giovanna, come prima cosa della giornata, ha dato subito un bacio a Marco. In settimana non sempre ce la fa, gli orari son diversi. Dopo aver fatto l’amore, ancora senza il reggiseno, ha scongelato le brioches integrali al miele e preparato il caffè. Poi si sono vestiti, hanno preso le chitarre, il canzoniere e sono partiti con la loro Vespa per i colli. Lì si baceranno ed ascolteranno le canzoni con le cuffiette. Quelle con cui si son conosciuti, le loro preferite. Poi lei gli leggerà brani dai suoi libri e lui le racconterà come è andata la settimana. E poi si baceranno ancora. E ancora.

Non sono neppure le dieci del mattino ed Elena ha già chiamato Euronics, Trony, Unieuro, Mediaword e alcune Ipercoop della città. Si sente maledettamente sola e soprattutto detesta che il resto dell’umanità sia a schitarrare Battisti su un prato, mangiando salsiccia. Allora vuole fare un acquisto grosso ed importante. Un Iphone Se oro rosa. Da un po’ voleva passare da Android a Mac. E allora, proprio oggi, nel giorno della Liberazione, lo vuole assolutamente, ma sembrerebbe che tutta la città abbia condiviso quel desiderio. Quindi, un call center dopo l’altro, fa impazzire i poveri impiegati che quel giorno, con la testa e con il cuore, vorrebbero Battisti, il prato e la salsiccia. “No, guardi, al massimo c’è oro, ma 32 giga, non 16 come lo vuole lei”. “Signora, è il 25 aprile, già tanto che siamo aperti.” “Sì, ne abbiamo uno, ma venga al più presto perché sembra che si regali oggi”. Laura parte, attraversa la città, entra direttamente nella zona telefonia del supermercato e chiede: “No, il modello che vuole rimane solo nero”. “Ma al telefono una sua collega, mi ha assicurato…”. “Avrà capito male”. “Io non ho capito male? Capito?!!!“. “Controlliamo allora, ah…. la collega si riferiva a quello in esposizione, ma non può acquistarlo fino a martedì e sinceramente glielo sconsiglio, non è come quello imballato”.

Amedeo oggi si è svegliato alle 6. 15. Come tutte le mattine appena ha aperto gli occhi ha pensato a Maria che ormai non c’è più dal 2011. Una sera se l’è portata via, quando aveva 71 anni. Ora Amedeo cammina sotto i portici della sua città, guarda le scritte, i fiori, le frasi, i nomi dei partigiani e pensa che dovrebbe essere così tutti i giorni. Che la memoria è il senso della vita, della sua in particolare. Che non fa altro che ricordare. Che possiede solo il passato e che i ragazzi di oggi, invece, pensano solo al presente. E si perdono tanto.

Francesca si è svegliata tardi. In testa, da subito, l’idea di cosa significhi liberazione. Lei si è liberata da certi pesi, da ostacoli, impegni, seccatori, ha liberato stanze dalle sue cose, a volte si è liberata dei vestiti, vicino a Taranto ha liberato un’ancora e spesso si è liberata da certi rimorsi.

Ma ci sono cose, da cui non riesce proprio a liberarsi.


Fotoromanza

IMG-20160331-WA0001Quella di Francesca è una notte rosa. Bouquet di ortensie e fiori bianchi, flauti di Pan e crostate di mele, accompagnate da sciroppi al sapore di ciliegia, che la fanno dormire profondamente.

 

 

 

 

 

 

quezAlle 7 del mattino, Francesca sale con l’ascensore. La prima volta ha avuto paura perché era presto e la notte che finisce le fa sempre un po’ paura. Arrivata in alto sente il canto del gallo, vede il rudere abbandonato e tutte le volte pensa: “Un giorno lo comprerò quel rudere e ci farò la stanza della musica. Chissà là dentro come si sogna bene.” Su, c’è odore di pulito e i cani trascinano i padroni per la passeggiata mattutina.

 

 

 

gattiTutti i giorni Francesca sale via Santi Giacomo e Filippo all’incirca verso le 17. Questa vita, sembrerebbe tutta una salita. Tutti i giorni, sempre alle 17, un signore arriva con la sua Jeep e nel bagagliaio ha della carne fresca per i gatti neri di via Santi Giacomo e Filippo. Francesca non sa se sia un macellaio, ma lo pensa comunque un uomo molto gentile. Anche i gatti neri di via Santi Giacomo e Filippo pensano che sia un uomo molto gentile.

 

 

 

colomboGiunta la sera, Francesca avrebbe voglia di vedere in faccia il mare e farsi raccontare una storia, anche solo per pochi minuti. Ma dato che è lontano, non le resta che andare alla fontana di Piazza Colombo. Per fortuna la statua è addobbata dalle luci stroboscopiche e cambia sempre colore. Ora è rosa. Le sembra di essere al karaoke, butta una moneta nell’acqua, esprime un desiderio e se ne va a casa incontro alla notte.


Il circo e la discoteca

circo-300x178Ho sempre sostenuto che dopo i 35 anni, la discoteca diventi un circo. Malgrado questo:
per recuperare una vita notturna ormai inesistente, per provare l’ebbrezza di un venerdì che parte alle sei del mattino e finisce alle due di notte, per ballare con le amiche, dato che a diciotto anni ero troppo malinconica per farlo,
ultimamente la frequento.
Nel frattempo, in città sono giunti gli Orfei.
Il circo è sicuramente:
crudele nei confronti degli animali, uno spettacolo datato e per niente contemporaneo ed infine carissimo, dato che l’ingresso è di 30 euro.
Malgrado questo, appena lo vedo, non posso resistere più di una settimana senza correre al botteghino e stringere il biglietto tra le mani. Nemmeno avessi 11 anni. Così ho costruito il week end perfetto: venerdì discoteca, sabato circo. Ma non avrei mai immaginato di trovare somiglianze così evidenti tra questi due universi.
Discesa in pista e danza degli animali.
Gli ammaestratori fanno sfilare gli animali sulla pista, fino a quando non ballano tutti insieme. Questo momento mi ricorda incredibilmente l’apertura delle danze in discoteca. Vengono tolti i tavoli dell’aperitivo, il dj mette revival e le prime ragazze iniziano a muovere il bacino. Si arriva presto ad un movimento collettivo fatto di delirio e canto a squarciagola, sulle note di Comprami di Viola Valentino e Maledetta primavera della Goggi.
La giraffa e il gorilla.
La discoteca è piena di gorilla: c’è quello che sta all’ingresso, quello con la maglietta striminzita e i muscoli appena pompati, quello che è sempre pronto a picchiarsi per ogni stupidaggine e quello che non balla. Mai.
In ogni pista e in ogni circo che si rispetti, c’è almeno una giraffa. La creatura è molto diffidente nei confronti dell’uomo e fa bene. Per questo, gli esemplari maschili, che siano addestratori o playboy, tendono ancora di più a accerchiarla, mentre lei mantiene un certo riserbo. In mezzo alla serata o al numero, con distacco, la giraffa prende la sua eleganza ed, altissima, se ne va.
La gabbia dei leoni. In tutte le discoteche c’è un luogo che ci attrae perché pericoloso. Uomini e donne stanziano lì solo per attaccare bottone. Il più delle volte corrisponde al posto dove si fuma, al guardaroba o al bagno. Il luogo del rimorchio violento. Dove l’istinto felino non può essere ammaestrato. Ieri, la tigre del circo non mi convinceva per niente. Il leone era tanto amico dell’ammaestratore che ha fatto il numero della testa nelle sue fauci, ma due o tre ruggiti della tigre mi hanno fatto riflettere. Se entrate nella gabbia dei felini, è a vostro rischio e pericolo.
Le sorelle Bazan, contorsioniste. Sono incredibili. Le loro tutine luccicano e, coi corpi, fanno cose pazzesche. Sembrano serpenti siamesi. Due donne, una sola forza. Sono bellissime e brillano, fatte di coraggio e femminilità. Le cubiste o ragazze immagine, come le Bazan, sono paillettes e brillantini su un corpo mozzafiato e muscoli involontari, ma evidentissimi. Tutti le guardiamo e le amiamo, ipnotizzati dai loro movimenti.
I trapezisti: coincidono con la magia, il momento in cui può accadere di tutto. Solitamente arrivano dopo i clown, che ci hanno rilassato come un gin tonic al bar. Fine serata, distrutti e concentrati nella musica, persa ogni tipo di inibizione, la pista diventa così simile a quella metà tra cielo e terra dove volano gli atleti. Un non luogo, dove tutto si può avverare ed in cui siamo così diversi dalla realtà. Gli acrobati, mentre si dondolano nel cielo, perdono ogni fisicità. Diventano angeli. Così, in certi momenti, aiutati dall’alcol, dalla notte, dall’ipnosi dionisiaca dei tanti bpm, può succedere di tutto. Balliamo con uno che ci sembra uno schianto e che poi alle luci del bar non riusciamo neanche a riconoscere. Noi, che non sappiamo neanche seguire una lezione di zumba dall’inizio alla fine, sembriamo sirene sinuose e nate per piroettare. Lassù, dove il tendone finisce, si può fare anche il quadruplo salto mortale.
E se si cade, c’è comunque la rete di protezione.


La sala d’attesa

13Si inizia con la rincorsa al numero. Chi è l’ultimo del dottor R….? Questa è una delle domande chiave della vita. Che poi non serve a niente, perché se uno ha il numero, basta seguire l’ordine. È un po’ come alla trasmissione C’è posta per te:“Posso sapere quello che ti hanno detto, Maria? “Domande rito, la cui risposta non è così importante. L’interessato non risponde, come se si trattasse di salvaguardare una sorta di privacy e tutti i presenti si sentono parte di un piccolo mistero, come in un romanzo di Agata Christie. Ci riprova dunque in modo diverso:“Io sono il 14, chi è il 13?” A quel punto si crea il caso, il vociferare, la confusione. Ognuno dice il proprio numero, come se fosse un modo per partecipare, per discolparsi, quasi una forma di scaramanzia. Io non sono il 13, Io devo prendere solo una ricetta, Io ho proprio una brutta influenza, Ma l’ha fatto il vaccino? Dicono che quest’anno non serva a niente, Perché l’anno scorso qualcuno è morto, sa? Sembra di essere ad un party, da quanta gente c’è oggi nella sala d’attesa del dottore della mutua. Il momento è quello in cui si comincia a rompere il ghiaccio, dopo aver bevuto qualcosa e mangiato due tramezzini, ma tutti sono ancora timidi, trincerati dentro le proprie insicurezze. Malgrado questo, si è un gruppo compatto, sempre pronto alla discussione. Sembra che in un attimo si possa diventare amici e subito dopo nemici. Io sono l’unica esterna, straniera e febbricitante, scrivo sul pc. Ci mando sempre qualcun altro a fare quella fila o mi faccio lasciare le ricette dal doc. Trovo deontologicamente sbagliato perdere parte della mia giovinezza su quelle sedie, le attese sono sempre di ore. Dunque gli abuituè della sala d’aspetto non mi conoscono e mi guardano con sospetto, nessuno è seduto vicino a me. Una signora indiana mi guarda con gli occhi della mamma, mentre continuo a soffiarmi il naso. Vorrebbe aiutarmi, si vede. Un altro signore ipotizza cosa potrei avere, pensando certamente qualcosa di infettivo, dato che si allontana sempre di più dalla mia postazione. Qualcuno legge le riviste un po’ datate, qualcun altro guarda i titoli del bookcrossing che il medico ha lasciato come terapia per superare l’aggressività dell’attesa. In quel momento, dietro di me, si apre una discussione. A sentirla così, sembra di essere in un film di Jim Jarmusch, di quelli con Steve Buscemi giovane. Il tema è: “Se uno fuma, al giorno d’oggi, quanti soldi spende? Quindi, quanto costano le sigarette?”. Tutto è estremamente genovese. Il discorso si apre a macchia d’olio e ha un sapore che ricorda qualcosa tra Ok il prezzo è giusto e Forum. I fumatori si guardano bene dal fare outing, ma io li riconosco dagli sguardi. Ascoltano, zitti. Qualcuno entra e saluta, ma nessuno risponde, sono tutti troppo concitati nella discussione. Si pensa che le Marlboro siano le sigarette più care, ma anche le più forti e cancerogene. Qualcuno dice che più si spende, meglio si spende. Questo io lo condivido sempre. Durante la discussione penso che se dicessi i miei problemi, il gruppo mi potrebbe aiutare. Sembrano fatti per questo. Ma quando sto prendendo coraggio, ritorna la chiamata al numero 13. Tocca a lui e nessuno risponde. Guardo il mio numero, naturalmente sono io il 13. Ecco perché non usciva fuori.


Ti voglio bene Cri!

criPiù vado avanti e più mi sembra che il mondo si divida. Se vai al circolo culturale o al cineforum trovi delle persone, se vai a ballare in una discoteca tamarra ne trovi altre. Il problema è che non si incontrano mai, mentre la mia serata ideale comprenderebbe entrambe. Per questo adoro i posti come i Karaoke, perché trovi di tutto. La mia playlist preferita nell’ IPod comprende i concerti Brandeburghesi di Bach e Baby one more time di Britney Spears. Gli iati mi stimolano. Ma se questo potrebbe sembrare un sogno, l’altra sera in piazza Matteotti è divenuto realtà grazie a Cristina D’Avena. La folla era un vortice. Le persone non solo provenivano delle più svariate estrazioni culturali, ma erano anche diverse per età e generazione. Come quelle giostre del luna park in cui, mentre si va su è giù, si girano contemporaneamente anche le sedie a cui si è incollati. Ognuno trovava il proprio spazio, la propria canzone, la sigla del cartone da cantare insieme a Cristina.
Johnny è quasi magia, che quando è uscito io ero già indecisa tra i cartoni e le telefonate alle amiche, la cantava infatti, un ragazzo poco più giovane di me. Mentre la gridava sembrava ricordare tutte le volte che da bambino diceva di aver finito i compiti e il nonno gli portava la focaccia davanti alla tv. Anche se non era vero, la mamma non doveva saperlo.
Robin Hood che non avevo mai sentito e che per me è solo “Urka urka trillulero” cantata da Cantagallo, la accennavano timidamente una diciassettenne col fidanzato. Era il loro pezzo e si sono abbracciati.
Siamo fatti così. Dietro, fuori dal casino, c’erano due genitori con un bambino piccolo. All’inizio del brano hanno cominciato a scatenarsi, mentre il figlio li guardava stranito. Sembravano aver dimenticato la tassa del mutuo, lo spesone del fine settimana alla Lidl e che, a vacanze quasi finite, l’indomani avrebbero dovuto ricominciare la solita routine.
Occhi di gatto. Questo ragazzo le sapeva veramente tutte. Il leader della compagnia, quello che fa ridere e ballare tutti, con la bottiglia di prosecco in mano da bere a canna con gli amici. Chissà quante volte, ha fatto così anche in discoteca. Al “Tre ragazze bellissime” che tanto aspettavamo entrambi, ci siamo abbracciati, ho bevuto a canna anche io e ci siamo augurati buon anno.
Mila e Shiro. Catapultata nel passato. Ho 13 anni e sto guardando Bim bum bam. C’è Bonolis che non ha ancora svaligiato la Rai col Sanremo 2009, ma già mi piace. Mentre c’è la sigla sogno di vincere i campionati mondiali di pallavolo. Inutile dire che alle medie in educazione fisica avevo un 6 raggiunto a fatica e il mio Shiro, che era il fratello della mia amica, non mi ha mai notata.


Io rischio tutto

13606918_10153893663612695_3277986200308923614_n“La chiamata ti raggiunge col Pec”, mi disse un docente affermato. Chissà perché mi aspettai subito un bel pacco dono della famosa rosticceria milanese con annesso biglietto: “Professoressa Lorusso questo è per lei, benvenuta e tanti auguri per il suo servizio. Il Preside”. In realtà significa che devi stare molto attento alle mail perché te lo comunicano lì se c’è una convocazione per una supplenza annuale. Se vuoi star certo devi avere il Pec, ovvero la mail certificata, una sorta di raccomandata con ricevuta di ritorno. Io, che nella vita ne facessi mai una giusta, ho aspettato a comprarmi uno Smartphone e andavo tutta fiera che sarei stata l’ultima ad averlo. Se uno fa il radical chic prima o poi la paga. Chissà quante ne ho perse di chiamate, così. Solo con lo smart hai una notifica dell’arrivo delle mail: una vibrazione, un fischiettìo, un accenno di Lambada. In caso contrario, se non è tuo uso guardare quotidianamente la posta, la convocazione può stanziare anche dei mesi senza che tu la veda, pensando che sia l’imperdibile offerta “Prenota la tua visita ai cetacei nel mar ligure con marinaio, gozzo e bicchiere di Champagne a soli 120 euro invece di 300.” Novembre scorso mi doto dunque di smart e aspetto. La prima mail che arriva sono certa di essere presa e danzo felice nella mia stanzetta. Poi come nei migliori contratti noto la postilla “al fine di consentirle una valutazione di massima sulla possibilità di nomina la informiamo che questa convocazione interessa i seguenti aspiranti”e poi una lista infinita in cui io sono solo un nome a metà con un numero vicino. Non ci bado, son quelle cose della privacy, penso. Parla di possibilità di delega ma non complichiamoci la vita, chissà come si fa, le mie tre lauree non bastano certamente. Vado. Inizia la caccia al tesoro: trova la scuola. Vai su Google Maps, cerca percorso, cerca autobus, cerca orari, calcola, ricalcola. Ora prova a vedere se su Google Earth si capisce di più. No. Le scuole medie sono imbriccate, imbriccatissime. Per me che sono padana e contemplo solo la dimensione piana imbriccaterrime. Meglio, mi hanno detto che se la scuola è in montagna si prendono più soldi, chissà se è vero, sembra una prova ricompensa all’Isola dei famosi. Chiedo a tutti quelli che incontro dove sia: dall’edicolante al barista fino al tabacchino. Ormai mi conoscono e sono già l’argomento del giorno al bar della zona. Entro nell’edificio. Vedo una fiumana di gente. Subito penso ci sia una festa, forse un po’ presto alle otto del mattino, quindi sarà una riunione di genitori, una conferenza o un corso di aggiornamento. No è il popolo della terza fascia, l’esercito dei supplenti. Donne, uomini, giovani, anziani. Alcuni chiacchierano, altri zitti mentre pregano che sia la volta buona. Una aspirante ha il suo chihuahua nella borsa. Ci sono anche quelli che portano le deleghe: madri nervose, mariti che son scappati dal posto di lavoro dicendo che andavano a prendere un caffè, sorelle e fratelli devoti, fidanzati innamorati, amici veri. In questo infinito brusio puoi fare conoscenza, forse anche innamorarti, ma sicuramente desiderare che quello prima di te non accetti. Certo c’è la graduatoria, ma come le liste delle discoteche, a volte può non significare nulla. Mi è capitato infatti di avere 100 persone prima ed essere in testa o di averne solo una davanti che firmava senza un’esitazione. Si passa alla fase senza ritorno: la convocazione dal preside per gruppi, piccoli o grandi a seconda della quantità di gente. Il dirigente stringe la lista nelle mani e ad uno per uno pone la mitica domanda. Fino a quando, se sei fortunato, non tocca a te: “Professoressa accetta?” In quel momento ti passa davanti tutta la vita. Nel mio caso la prima terzina a solfeggio, il primo sette ottavi, il sorriso di mia mamma, il primo bacio sulla passeggiata Europa e quando mi son detta vorrei insegnare. Ma sono 8 delle 18 ore totali e poi si può andare solo a completamento, essendo un incarico fino al 30 giugno. A quel punto cerchi di calcolare se la scuola dopo ti chiamerà e per quante ore. Neanche la combinazione vincente della roulette del casinò di Sanremo ti aiuterebbe. Arriverà una chiamata della tua materia? Magari una maternità? Certo meglio di una malattia, che sembra colpa tua se quella di ruolo non sta bene ed invece dispiace anche a te. Ti conviene prendere? O come direbbe Mike Bongiorno rischiare tutto attendendo la prossima chiamata? Ecco, come nella vita, io rischio tutto. “Ma così può perdere punteggio Professoressa”, suggerisce gentilmente il Preside.
Lo so, ma io rischio tutto.