(Non è) la Rai

La scorsa settimana, per vincere la nostalgia di Sanremo, mi son regalata due serate Rai.
La Fiction in due puntate Studio Uno e il film per la tv Dalida.
Entrambe, in modi diversi, mi hanno stupito.

Studio Uno. La storia romanzata del programma andato in onda nel 1961 e di tre signorine che ci lavoravano.
La ragazza madre che, pur essendo stata presa in sartoria, vuole fare la cantante senza scendere a compromessi. In modo più o meno realistico sposa un bravo ragazzo e canta solo più al suo matrimonio.
La ballerina che va avanti solo a compromessi e si redime innamorandosi dell’integerrimo capo del corpo di ballo. Che nella realtà sarebbe stato gay.
L’impiegata carina, ma senza laurea che diventa assistente alla regia di Antonello Falqui e in preda ai grilli del successo, lascia un quasi marito, per giunta ingegnere, per un ragazzotto figlio di papà. Dopo un bacio, questo l’avrebbe lasciata per la prima soubrette a caso.
Ma una cosa bella c’era.
Mina.
Mina è sempre bella e ve lo dice una che ne fa quasi un senso della vita.
E quando ha visto le tre signorine pubblicizzare a Sanremo la fiction, si è incuriosita solo per come l’avrebbero rappresentata.
Ed ecco la trovata registica Rai: pur essendo la vera protagonista, dato che era l’anima di Studio Uno, Mina non si vede mai.
Se non di spalle, di sfuggita, di corsa.
Per vederla frontalmente dobbiamo entrare nella tv in bianco e nero.
Quella nella sala regia di Falqui, nelle case delle persone, nei bar.
Ma anche quella nella memoria dei nostri genitori, forse gli unici insieme a me, davanti alla tv la sera di San Valentino.
Quella che canta, si vede e si sogna nella fiction è la Mina vera.
La stessa, anche se sembra impossibile, che ora duetta con Celentano ed è la voce di Tim, Tim, Tim con quel ballerino indemoniato a cui volentieri sparerei.
Molto bello. Grazie Rai.

Dalida. Delicata. Disperata. Bellissima. Sola. Bulimica d’amore e di vita.
Ad un certo punto un produttore dice che la sua musica è troppo vecchia per gli anni ’60.
Incoraggiante, dato che è la stessa musica che faccio io nel 2017.
Davanti ai suoi occhialoni neri, passano in rassegna amori e canzoni.
E la traduzione dei testi in italiano sullo schermo.
Cercando di toglierle gli occhiali, i suoi uomini la amano fino ad alcolizzarsi, a tradirla, ad uccidersi.
L’effetto che vorrei fare ai miei, senza riuscirci.
Ma Iolanda, vero nome di Dali, è una donna vittima della sua fatalità.
Fino a vomitar pasta per non ingrassare.
Per fermare tempo e taglia.
Ogni domenica si riempie la casa di amici, perché, quanto ha ragione, è il giorno più solo della settimana.
Si riduce a stare in casa con le luci e le persiane abbassate a causa del male agli occhi.
Un male dentro che le rende la vita insopportabile.
Bello, davvero. Grazie ancora Rai.


Tra 365 giorni è Sanremo

tutto-sanremo-2016-300x211Il Festival 2016 è stato quello delle canzoni brutte, ma brutte davvero, che all’inizio pensi sia colpa del primo ascolto. Poi la seconda, la terza e la quarta volta, non migliorano. Quella di Alessio Bernabei, a mio parere, è la più brutta di tutte le 66 edizioni e vince anche su Pupo e Filiberto, che in fondo il Savoia non era un cantante. Le poche belle poi, sono finite in zona rossa, a rischio eliminazione. Quella di Neffa, un po’ stonato, ma che, essendo nato batterista metal, se la cava molto bene. Quella degli Zero Assoluto, che mi costa dirlo, ma si faceva ascoltare e quella di Noemi che aveva il testo più autentico, se siete donna rovesciate la borsa e dite di no.
Il Festival 2016 è stato quello della nostalgia, della Patty che interpreta un brano molto elegante, ma con una faccia così rifatta e nuova da poter rientrare nella categoria dei giovani, come ci fa ridere un comico. Dei Pooh, senza figli questa volta, ma stanchi e vecchi con Facchinetti che urla cercando quella voce che non c’è più e va lasciata in pace. Di Ruggeri che è l’unico rock, ma dimagrito, dimostra qualche anno in più. Di Cristina d’Avena che canta i Puffi con un vestito che la fa somigliare a Memole. Di Ramazzotti, che canta Terra promessa e di Laura Pausini che duetta con se stessa in La solitudine con annessa giacca cimelio del ’93.
Il festival 2016 è stato quello dei rapper napoletani. La canzone di Rocco Hunt ti si mette nella testa e non te la levi più. Clementino, nella serata dedicata alle cover, ha cantato Don Raffaè, uscendone indenne con mia grande sorpresa. E aggiungerei anche la salentina Dolcenera che, scoperta la sua eliminazione al Dopofestival, ha detto incredula: “Il mondo è capovolto”. Complimenti per la modestia, manco Morgan, di cui conosciamo l’ego importante, ha reagito così. Insomma sembrerebbe un disastro, ma il festival non è più la canzone italiana. Non principalmente, almeno. Il festival sono i nastrini arcobaleno che diventano braccialetti, cravattini, pochette durante l’esibizione, sono gli occhi blu di Garko che seguono il gobbo, la schiena incurvata della Raffaele-Belen, Conti che ci fa dimenticare la crisi e ci rilassa tutti meglio del Lexotan, il maestro Vessicchio che prende più applausi di Laura Pausini, il pubblico dell’Ariston che balla e si scatena per ammortizzare il costo del biglietto, Valerio Scanu che nel ritornello di Finalmente Piove canta Tunai Tunai e non ho ancora capito se dice tonight o tu non hai, la Michelin che torna bambina e dopo aver cantato dice che figata, gli Stadio che gli vuoi bene e se lo meritano a prescindere. E infine l’intervista di Ezio Bosso che è un antidoto meraviglioso per chi, come me, litiga spesso con la musica.
Tra 365 giorni è Sanremo.


Come conquistare un uomo guardando i film concreti

stivi-300x168Quando il protagonista è Bruce Lee, Chuck Norris, Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Jean-Claude Van Damme o, il mio preferito, Steven Seagal, potremmo quasi esserne certe. Se poi, dai primi minuti, volano botte da orbi è matematico: siamo davanti ad un film concreto, come lo chiamo io. Quelli che agli uomini piacciono e alle donne no. In queste pellicole diffusissime nella tv generalista di oggi, risiede molta psicologia maschile e ho sempre sostenuto che noi signore, invece di girare al primo accenno di cazzotto, dovremmo guardarli con attenzione per capire qualcosa dell’altro sesso. Un’idea sarebbe organizzare anche delle visioni di gruppo in modo da sfruttare le intuizioni delle altre, svolgere punti non chiari e magari chiacchierare di scarpe nelle pubblicità
Il film concreto è una tipologia di cinema in cui la trama viene sostanzialmente raccontata per mezzo di un certo numero di scene d’azione, durante le quali uno o più protagonisti si trovano a dover affrontare una serie di sfide che richiedono coraggio e prodezza fisica. Per questa ragione, tali film sono soliti includere scene di lotta, sparatorie, inseguimenti, esplosioni ed acrobazie di ogni genere. Spesso in questo tipo di pellicole lo sviluppo caratteriale dei personaggi viene ritenuto un elemento secondario, che finisce quindi per rimanere subordinato alla pura spettacolarità dell’azione.(Tratto e rielaborato da Wikipedia)
1)Sappiamo tutti che la frase che le donne dicono più spesso è la stessa che gli uomini temono di più: “Dobbiamo parlare”. I film concreti ci confermano questa teoria. I dialoghi sono pochi e sempre comunque legati all’azione. Gli uomini non amano le chiacchiere, soprattutto se riguardano la relazione che hanno con noi. Per ottenere da loro quello che vogliamo, dunque, i fatti sono molto meglio delle parole. Coi romanzi e i messaggi, che a noi piacciono tantissimo, tendiamo a confonderli e allontanarli. Azione, ragazze, ci vuole azione!
2)Se proprio vogliamo utilizzare un linguaggio, deve essere esclusivamente quello non verbale. Il più delle volte non ascoltano quello che diciamo, o non ne hanno voglia o non ne sono in grado, ma utilizzando un certo tono di voce, uno sguardo, una posizione del capo, una carezza, rimarranno colpiti positivamente e potremo azzardare ogni richiesta, anche la più costosa.
3)Se non è nostro uso distruggere a suon di botte tutto quello che incontriamo, come accade nei film suddetti, sicuramente dovremmo puntare sulla nostra energia. A chi piacciono veramente le gatte morte che non stanno in piedi? Magari possono essere utili per una notte, ma poi le “peperine” avranno certamente la meglio. L’intraprendenza, se non eccessiva, è certamente un buon inizio di c.v  e verrà notata.
Passiamo ad analizzare le figure femminili in questo tipo di pellicole. C’è un’unica tipologia di donne, coincide spesso con l’ideale dell’immaginario maschile e può essere buon materiale di studio.
1)Se nella vita ci hanno insegnato che l’importante è l’interiorità, la donna, in questo genere, è una figa pazzesca. Veste minigonne e abiti succinti che evidenziano le sue forme ed è intelligente. Si sa difendere con le arti marziali e quindi sferrare qualche colpo in modo da tirar fuori dai guai il suo lui, in quei rari e brevi momenti in cui il cattivo ha la meglio.
2)Estremamente femminile, è dolce e comprensiva. Inizialmente sempre un po’ refiosa e se per buona parte del primo tempo può prendere in antipatia il nostro protagonista, cederà al suo fascino prima del secondo. A quel punto non c’è mal di testa che tenga: l’unione fisica tra i due è sempre sensazionale e perfetta fin dalla prima volta. Da lì la svolta verso i tre tipi di svolgimento:
a)Diverrà la compagna e combatterà al suo fianco
b)Sarà rapita e lui la cercherà per il resto del film
c)Verrà uccisa in modo che la sua rabbia monti fino al finale in cui distruggerà tutto e tutti.
Abbiamo detto cosa gli piace, ma com’è l’universo del protagonista?
Un eroe indistruttibile, capace di sopravvivere alle situazioni più estreme senza subire gli effetti delle ferite e senza riportarne alcuna conseguenza. Le armi ed i veicoli sono delle sue estensioni. Un mondo fatto di fucili e mitragliatrici che non esauriscono mai le pallottole. Le automobili e le motociclette continuano a muoversi anche se irrimediabilmente danneggiate, oppure esplodono al minimo accenno di malfunzionamento.Qualsiasi uomo vorrebbe vedere questo per sentirsi veramente realizzato. Per risvegliare l’eroe che c’è nel nostro lui, dunque, non ci rimane che fargli aggiustare la lavatrice quando si rompe, chiamarlo per portare il carrello e le buste della spesa e soprattutto fargli aprile le bottiglie di vino. Se poi stappa la birra con l’accendino per noi, è fatta, l’abbiamo conquistato!


Ad ognuno il suo Posto al sole

un-posto-al-sole-Ci sono cose che vediamo tutti: Un posto al sole è una di quelle. Lo so che per alcuni di voi un’affermazione del genere è un affronto, ma è così. Pochi sono quelli che non ne hanno seguito almeno una puntata. Professori, panettieri, idraulici, medici, meccanici, persone che hanno negli occhi cinema russo e muto e nelle orecchie gli Einsturzende Neubauten e i Death in June, quello che legge solo Fabio Volo e lo storico archivista che riesce a tenere in mano solo saggi: tutti questi alle 20.45 dal lunedì al venerdì non se ne perdono una puntata, giurin giuretta, li conosco personalmente. La Rai ha creato un non luogo come piace a me, di quelli che hanno come spettatore un’umanità variegata e differente. Napoli, problemi sociali, commedia, amore, tutto contenuto in una casa, proprio come Ventialventi, cioè un po’meglio, dato che è palazzo Pallavicini ed è sparato sul golfo di Napoli e non su un cavedio interno. Io lo vedevo col fidanzato tanti anni fa, fino a quando ha deciso che era diventato noioso e gli ho dato retta. L’altra sera, primo dell’anno, mi ci sono ritrovata davanti. Pensavo non fosse successo molto e come in Beautiful credevo di capire tutti i cambiamenti in pochi minuti. Con questa affermazione non voglio togliere nulla agli sceneggiatori, anzi solitamente una delle caratteristiche delle buone soap è proprio quella di essere recuperabili in poche mosse. Tutti dobbiamo immedesimarci e ritrovarci in un momento. Se guardo Beautiful oggi non c’è Ridge, ma  il figlio che ne fa le veci come per Brooke o chi altro. Ho sempre pensato che la telenovela deve essere proprio come la tragedia greca in cui vedi accadere agli altri quello che non avresti mai immaginato potesse succedere a te, ma che alla stesso tempo è anche un archetipo. Ci si nutre delle vite altrui, anche se sono finte, per dimenticare un po’ la propria o per ricordarla ancora di più.
Detto questo, ecco cosa ho capito iniziando dalla prima puntata del 2016:
Nunzio è riconoscibile, più grande, abbastanza inguardabile e parte del nucleo familiare Franco-Angela. Boschi, bello e tenebroso, ottimo papà e compagno della Poggi, unico suo grande amore.
Andrea che è figo, si è sposato Arianna, ma sembrerebbe un po’ incostante. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Nikolin lavora al bar di Silvia ed ha certi casini sentimentali, ma sembra nella norma.
In radio c’è grossa crisi, che nella vita vera è quella del mondo della comunicazione. Michele, non so se è direttore, ma comunque un responsabile sempre impegnato, come era anche anni fa. Uno di quegli uomini che non capisci se fanno così perché gli interessa solo il lavoro o, come dicono loro, ci si sono trovati. Comunque non sembrerebbe perdere il ruolo di buon padre di Rossellina che ora è adolescente. Capo di questo nucleo è sempre la multitasking Silvia: simbolo della donna perfetta che ha una propria attività, sa cucinare, segue i nonni che aiutano, ma sono abbastanza impegnativi, è una brava mamma e anche un po’ sexy. Come diavolo fa, lo sa solo lei.
Raffaele è sempre Raffaele. Un’ode a Totò. Stupendo anche il commercialista Renato, la sua mitica spalla.
Ecco quello che invece non ho
Viola non sta più col magistrato? Cosa ci fa in radio?
C’è un infiltrato, fa il filo a Marina e arriva da Centovetrine, potrei giurarlo, lo vedeva mia zia a pranzo. Ma son legali questi scambi nel mondo delle soap????
Filippo è tornato single? Così tanto da saperlo dato che è un buon partito ed un ragazzo interessante.
E soprattutto Roberto Ferri, che non nego essere il mio preferito, cosa ci fa in prigione con la barba lunga e senza i suoi impeccabili completi?
Solo voi potete aiutarmi, fatemi recuperare gli anni persi. Ammetto di esserne già dipendente, ma da sola è durissima.


Via col vento nella notte di Natale

viaDal 23 dicembre al 7 gennaio il palinsesto televisivo regala come Babbo Natale. Sette spose per sette fratelli, Colazione da Tiffany, Gilda. Se il periodo incrementa terribilmente anche le depressioni più lievi, almeno in televisione è come se fosse sempre notte, che se per alcuni è il momento dell’amore, per me è quello della visone del piccolo schermo. Il 25 dicembre Rete Quattro ha superato se stessa programmando alle 20.30 Via Col Vento. La storia la conosciamo più o meno tutti. Rossella O’ Hara è una ricca possidente terriera e ha splendidi occhi verdi. Malgrado la vogliano tutti i ragazzi della zona, lei è fissata per un tale Ashley Wilkes che però ha intenzione di sposare la sua santa cugina Melania Hamilton. Annunciato il fidanzamento dei due, Rossella si gioca la carta del dichiararsi ed Ashley le sfodera il primo di una numerosa serie di due di picche. Lei, che ha un caratterino bello vivace, dopo il rifiuto scaglia un vaso contro il muro. Nascosto dietro al divano c’è il noto e scaltro avventuriero Rhett Butler, che dopo aver assistito alla scena si innamora pazzamente di Rossella occhi verdi. Malgrado i due si somiglino molto, o forse proprio per quello, lei naturalmente non ne vuole sapere. Nel frattempo scoppia la guerra d’Indipendenza, in cui, come sostiene Rhett, gli stati del Nord sono iperfavoriti per armi e navi da guerra. Dunque da una parte la disfatta del Sud, la povertà e il tifo. Dall’altra il crollo del sogno d’amore di Rossella che, malgrado abbia perso tutto, se la cava sempre, si sposa tre volte e cade comunque in piedi fino alla mitica frase, divenuta filosofia di vita: “Ci penserò domani, domani è un altro giorno.”
Da un film così, visto con mamma e papà la notte di Natale, si imparano tante cose.
1) Amare esageratamente un uomo, in particolare se non si è neanche accorto della tua esistenza, è molto pericoloso. Intanto lo idealizzi. Poi ti devi dichiarare, che è sempre un errore. I maschi hanno bisogno della sfida, per questo vanno a caccia e a pesca. Se si trovano una bestiola morta davanti, viene a mancare la magia del rincorrerla ore nei boschi insieme, bevendo birra e mangiando fagioli a meno quattro gradi. Malgrado il risultato sia lo stesso, se non hanno cacciato la preda personalmente, smarriscono anche la passione. Quando li vogliamo a tutti i costi, perdiamo fascino ai loro occhi, in più diventiamo insistenti e non siamo più oggettive. Loro poi, danno tutto per scontato. Ashley, in particolare, visto dall’esterno non vale neanche la metà di Rhett Butler. È uno di quegli intellettuali senza attributi, non sa neanche lui cosa vuole, ama Melania tutta santa, ma ogni volta che Rossella lo inchioda al muro, la bacia.
2)  In amore vince chi fugge. Rhett ama Rossella, che ama Ashley, che ama Melania.
3) Certe passioni non possono realizzarsi. Ci si vuole bene tutta la vita, dimostrandosi il contrario. Non si riesce né a stare insieme, né separati, tantomeno a consapevolizzarlo. A volte perché si ha tutti e due un brutto carattere. A volte per problematiche maggiori. Ma la magia del sentimento è anche questa.
4) Pensando a Melania  non è detto, anche se sembra, che più si è buone e più si è sfigate. Questa signorina, che è dolce come la melassa, sembrerebbe non portare a casa niente di buono. Di salute è estremamente cagionevole, mette al mondo il primo figlio e deve attraversare il culmine della guerra d’Indipendenza per sopravvivere, ha sempre tra le scatole Rossella che è molto più bella di lei e che attenta al maritino. Infine muore giovane. Però Ashley la ama. O comunque, come molti uomini, non ha il coraggio di mollarla.
5) Non devi mai sottovalutare un uomo che ti desidera intensamente. Soprattutto se è bello, ricco e sexy come Rhett Butler .
6) Se non hai i soldi per un vestito, piuttosto che andare trasandata ad un appuntamento, ci sono sempre le tende del salotto. Con quelle, Rossella, ha confezionato forse il più bell’abito del film. Merita di essere citato anche quello bordeaux con cui va alla festa a casa di Melania.
7)  Quando non hai più niente, ti rimane sempre la tua terra. Tara o Cusago Milanino che sia.
8) Se non c’è gioco e lotta, non c’è passione. Basta leggere questi dialoghi:
Rossella: “Voi non siete un gentiluomo” Rhett: “E voi non siete una signora. Non è un titolo di demerito: le signore non mi hanno mai interessato”
Rhett: “Di una cosa sono certo: Che vi amo, Rossella! A dispetto vostro e mio, e a dispetto dello stupido mondo che vi crolla intorno, vi amo. Perché siamo uguali: gentaglia tutti e due, egoisti e scaltri, ma capaci di guardare le cose in faccia e chiamarle col loro nome.”
Comunque quel che conta è l’amore, di tutto il resto “Francamente me ne infischio”


E ora come farò la domenica sera senza C’è posta per te?

sakiWeek end. Sabato sera western d’autore mentre “La” registro. Domenica, quando tutti ordinano le pizze d’asporto e guardano i risultati sportivi aggrappati alle ultime ore di vacanza, io stringo il telecomando che mi permette di mandare avanti i molti spazi pubblicitari e di vedere a doppia velocità le storie dei regali come li chiama Lei o dei famosi come li chiamo io, che non ce la faccio a velocità normale, piango troppo. Così anche io do un senso a quello che resta della mia domenica.
Il mondo si divide in chi la ama e chi la odia, qualcuno l’ha chiamata addirittura il principio del male, ma per me è la Veronica Ciccone della tv italiana e non è un caso che si chiami Maria. Ammetto di avere un debole in generale per le sue trasmissioni. Uomini e donne over per esempio, che vedo nella settimanale notturna, è geniale e dimostra che non c’è età per essere tronisti.
Ma ciò che rende C’è posta per te superiore a tutti gli altri suoi programmi è proprio l’abilità di Maria
Lo studio: due divanetti azzurri ed in mezzo una busta gigante con degli schermi. Ma non è la scenografia che divide gli ospiti. Quello che realmente li separa è un odio più forte di quello tra pistoleri e sceriffi: la rivalità tra fratelli e sorelle, tra padri e figli, tra fidanzato e fidanzata. Da tragedia greca, da mitologia, da western contemporaneo.
Per cui Maria introduce, racconta le storie e lo fa camminando su tacchi vertiginosi come se fossero sneaker.  Diversamente da altre trasmissioni dove è seduta sui gradini dello studio, è sempre in bilico sugli stiletti per non rompere equilibri ritrovati o farli perdere definitivamente. Mette tutta la sua energia, discrezione e capacità dialettica per persuadére, far capire, dimostrare come dall’esterno certi screzi familiari sembrino piccoli rispetto all’amore. Protagonisti: la strategia, l’intelligenza, la parlantina da laureata in giurisprudenza e l’onestà intellettuale verso queste persone.
Poi naturalmente c’è il colore:
i tre postini che viaggiano in bicicletta e che alla consegna della busta fanno dire la frase magica C’è posta per te
i buu, gli applausi, gli apri la busta e i chiudi la busta gridati dal pubblico in studio, che giudica e si commuove insieme
i fiumi di lacrime dei concorrenti, le madri ricordate solo in foto
i “dammi ancora una possibilità” dei fidanzatini che hanno tradito e che verranno perdonati
i vecchietti che, rimasti vedovi, ricercano gli amori del passato che hanno sognato almeno per 30 anni e che poi di fronte a loro non riconoscono
i saluti di Saki che aspetto tutte le volte, facendo crollare la mia immagine da Crudelia De Mon
Ma tornando in alto vi è ancora una cosa fondamentale: il silenzio. Quello di quando il concorrente vede chi lo ha chiamato. Quello che in televisione non c’è mai, quello che c’è invece nei western, che è uno sguardo e che crea emozione proprio come nel momento in cui si toglie la busta con Love’s theme di Barry White a tutto volume.
Dopo tutto questo, la settimana poteva ricominciare senza farmi troppa paura. Ma se quella di sabato scorso era l’ultima puntata della stagione, ora come farò la domenica sera?


Il moltiplicarsi dei talenti

TALENTOChi mi conosce sa che sono una appassionata di trash-tv. Adoro dunque i talent: soprattutto quelli incentrati in qualche modo sul canto, croce e delizia della mia vita. Mi accorgo che in Italia, da qualche mese, questi show hanno avuto una crescita esponenziale che, come in un racconto di fantascienza, ha portato alla creazione di milioni di talenti. Andiamo ad analizzare il palinsesto.
Su Rai 1 c’è Forte forte forte: i partecipanti dovrebbero saper cantare, recitare, ballare e presentare. Si vuole una nuova/o Carrà, operazione forse un po’ ridondante dato che è la stessa Raffaella a ricercare. Insieme a lei in giuria: Asia Argento dalla bocca rossissima che vale come picco estetico del programma, il tedesco Philipp Pleinche, l’unico che sembra avere un po’ di senso critico e Juaquin Cortés che è molto simpatico quando esorta:“Devi cressere”. Ma questo non basta, se il grande assente è proprio il talento dei partecipanti. Le critiche al programma non sono mancate, ma andando sul sottile vorrei chiedervi di soffermarvi sulle mini presentazioni dei ragazzi prima di esibirsi. Vi ricordate la trasmissione La sai l’ultima? Il venerdì il mio pensiero corre a quei barzellettieri principianti: lo stesso imbarazzo, lo stesso modo di gesticolare, di ridere da soli. Il programma in onda negli anni ’90 poteva anche essere simpatico, ma nessuno chiamava i concorrenti talenti.

Da settembre su Sky c’è stato X Factor: devo dire che il livello era decisamente più alto del programma Rai sopracitato, forse anche perché lì i concorrenti si limitano a cantare.
Il vincitore è stato il giovanissimo Lorenzo Fragola che ha fatto una figura decente a Sanremo, a parte qualche difficoltà nel prendere la nota iniziale della sua “Siamo uguali”.
Comunque anche in quel contesto ho trovato la parola talento, usata per tutti i concorrenti fin dalle prime esibizioni, un po’ eccessiva.

Su Agon, che come ho già scritto è diventata la mia rete preferita per il suo essere naturalmente demodè, c’è la trasmissione Chance. E parte di nuovo una ricerca di multi-talenti: presentatori, cantanti, attori.
Le associazioni più pericolose perché portano a presentarsi un po’ tutti, in un ricordo sbiadito di quella che era la Corrida. Pace all’anima di Corrado e al talento che era. La giuria è composta da Salvatore Esposito, attore semi sconosciuto della serie Gomorra, la cantante albanese Elhaida Dani che sinceramente credevo avesse cambiato mestiere dopo la vittoria del 2013 a The Voice e Martina Stella, ultimamente un po’ affievolita, dopo i successi de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino ed esser stata regina del gossip grazie alle sue storie con Lapo e Valentino Rossi. Anche a Tirana, la parola talento abbonda sulla bocca della conduttrice Veronica Maya.

Tra poco su Rai 2 inizierà la trasmissione The voice of  Italy: anch’essa piena zeppa di talenti che, per la legge del contrappasso, come Elhaida Dani, scopriranno e creeranno a loro volta nuovi talenti.

Almeno una citazione per Italia’s got talent, prima Mediaset ora Sky, basta il titolo…Le stranezze in cui sono abili i concorrenti mi ricordano tanto Lo show dei record, dove la conduzione era affidata al mitico Gerry Scotti. Aldo Grasso diceva di questa:”Lo spirito del programma è antico, affonda le radici nelle fiere dell’800 quando c’era un gran bisogno di stupire con esotismi vari.” Ma di talenti neanche l’ombra…

Dunque ho scoperto che in Italia i Talent c’erano già, ma non si chiamavano così perché nessuno pensava che i concorrenti fossero dei talenti. Io mi chiedo: ma quanti talenti ci possono essere? Quanti se ne possono creare? E sopratutto sono più i talenti o i non talenti?

Dato che in Italia o sei talento o sei cuoco per fortuna che nel mio caso ho la tv e una rosticceria vicina.

 


Il day after Sanremo 2015: il festival della crisi e della rinascita.

1007793E’ davanti a Giletti ed ai playback dei cantanti di Sanremo che scrivo questo articolo.
Il giorno dopo il festival è come quello che segue una notte di passione occasionale: amarezza, sonno, immagini, ricordi e soprattutto i postumi di una sbornia.
Tutti gli anni rivedo l’Arena di Domenica In: l’Ariston che è magicamente più piccolo della sera prima, Mario Luzzato Fegiz che li massacra tutti, Parietti che è l’amica dei cantanti ed Iva a cui mi vien voglia di cantare sempre Cento, cento, cento come si faceva ad Ok il prezzo è giusto. Per me il day after Sanremo è analogo al concerto di Capodanno, vederlo è sempre di buon auspicio.
Quello del 2015 è stato il festival del vecchiume, della malattia e dell’austerity. Dimenticando le canzoni che sono da bruttine ad orribili, partiamo dalle presentatrici che sembrano l’offerta tre per uno al super, da cui ne esce vincente solo Rocío Muñoz Morales che ha interpretato bene il ruolo della bella e dolce straniera. Le altre due sinceramente erano un po’ imbarazzanti, per fortuna che Carlo Conti è molto bravo. Poi non c’è stata la serata dei duetti a cui io tengo particolarmente. I vestiti di Arisa ed Emma sembravano comprati all’ultimo saldo, i truccatori sono risultati incapaci e gli ospiti un po’ riciclati e più adatti per le buste del sabato sera di C’è posta per te di Maria De Filippi che per la kermesse in Eurovisione.
Anziano e cagionevole il Festival: il povero Raf visibilmente k.o, Irene Grandi che sembra tanto più vecchia e pure un po’ in lutto, la Zilli che pare ancora sotto, causa storia d’amore sbagliata, i Sogni infranti di Grignani, i comici che non fanno ridere o ci riescono solo con un pezzo sulla morte, Arisa e gli anestetici, la Rocìo che piange, Emma che appena si molla con uno, quello trova la donna della sua vita…vedi Stefano de Martino e Belen e Marco Bocci con Laura Chiatti.
Dall’altra parte quello del 2015 è stato anche il festival della rinascita e dell’umanità: pensiamo ad Albano e Romina che si baciano, alle famiglie italiane che figliano malgrado la crisi, alle coppie che invecchiano e continuano ad amarsi, alla semplicità di Carlo Conti…pensiamo al testo cantato da Mauro Coruzzi e Grazia Di Michele che affronta in modo poetico le difficoltà di una identità sessuale diversa. Pensiamo al mio favorito: Masini. Marco canta un bel pezzo autobiografico, raccontandoci la sua uscita dal tunnel del fuori-successo, del Masini porta sfiga, tra individui così cinici da non gli fargli sentire il “gusto del sole a Ferragosto”. Gli auguro una rinascita artistica e auguro al festival, per la prossima edizione, di raddrizzare la rotta musicale e ritrovare il suo volo. Quello vero. Citando il brano di un altro che mi è piaciuto, vincitore tra i giovani, Giovanni Caccamo, sono certa che, caro Festival di Sanremo, Ritornerai da me. Ma purtroppo, ora, devo aspettare un anno.

 


L’alba di un nuovo canale: Agon Chanel

thIn via Venti settembre neanche la tv funziona in modo normale. Manca l’antenna. Quindi tutti se ne mettono una sul tetto. Io che delego queste cose a papà mi son trovata con un digitale satellitare che mi nega da sempre enormi gioie. Il fatto che io veda Al Jazeera channel, Tele Foggia, Iran Tv, Abu Dhabi channel, non mi permette di vedere la SetteD dove una volta c’era la mitica Fiammetta Fadda o le repliche di Sex in the City. Per confermare la regola che non vedo i canali che mi interessano, ecco che da dicembre entra in pista una nuova tv che col satellitare non si prende: Agon channel. La prima particolarità è che viene trasmessa da Tirana. L’editore Francesco Becchetti, che si occupa di energie rinnovabili e squadre di calcio inglesi tanto da essere considerato in Albania come un nuovo Berlusconi, ha avuto sicuramente un’idea che gli permette di spendere meno e creare una sorta di nuova dimensione della tv. Ma in questa “Agon,” che a Tirana significa alba, cosa c’è di nuovo? Niente. E’ questo il bello. La tv raccoglie tutti coloro che in Italia non erano soddisfatti dei loro contratti: Simona Ventura, Sabrina Ferilli, Pupo, Maddalena Corvaglia, Giancarlo Padovan…e poi fornisce un’occasione a conduttori meno noti come Marco Senise, uno dei collaboratori di Forum, o Veronica Maja conduttrice dello Zecchino d’oro. Gli studi sembrano piccini, ma vengono potenziati soprattutto dalle grafiche video. Quello che trovo fantastico è la strizzata d’occhio al passato e la natura trash del palinsesto.

My Bodyguard è il reality più grottesco che io abbia mai visto. Che nella scala di valutazione di uno show di questo tipo è tanto. I concorrenti sono metà albanesi e metà italiani. E più che per diventare bodyguard sembra che nella trasmissione siano preparati ad affrontare l’imminente terza mondiale. Bonificano case e fuori strada dalle bombe, fanno esercitazioni alle cinque del mattino nelle campagne innevate vicino a Tirana, si beccano secchiate ghiacciate se non passano le prove nella diretta e trovano attentatori in ogni dove. Tutto questo per far da guardie del corpo a Lori Del Santo. O per salvare la Corvaglia dai fan sfegatati.. i concorrenti in divisa mimetica nei day ed in abito nero nel serale sembrerebbero invece più preparati per proteggere il presidente degli Stati Uniti. Manco Kevin Costner nel film con la Houston.

La fortuna fa 90 è un quiz alla Mike Buongiorno, che mi fa venire una forte nostalgia sommersa come sono dalla tv italiana da tutti quei pacchi e pacchetti ed ingrassata ed infastidita da cuochi in ogni dove. La conduttrice Sonila Meço sembra uscita da un film di Almodovar e la sua bellezza picassiana viene sottolineata dalle mise tutte albanesi che veste. Dulcis in fundo si vince una Fiat 500 e non cento miliardi di milioni di euro. Un po’ come negli anni ’60. O come nei programmi di Iva Zanicchi in cui al grido di Cento Cento si vinceva l’arredamento di casa.

Tutto questo io non lo posso vedere, ma voi sì, basta che abbiate il digitale terrestre. A proposito dovrebbe essere iniziato il tg della Dubai television…


Dalle donne di Satan’s Circus ad Alexis

alexis054_3Avrei dovuto cantare per presentare Satan’s Circus, l’ultimo romanzo di Giovanni Giaccone. Ma poi abbiamo deciso che avrei dovuto parlare per presentare Satan’s Circus, l’ultimo romanzo di Giovanni Giaccone. Ancora dopo è arrivata l’alluvione e abbiamo pensato che avrei dovuto rimandare per presentare Satan’s Circus, l’ultimo romanzo di Giovanni Giaccone. Tutti questi giri per dirvi che per presentare Satan’s Circus, l’ultimo romanzo di Giovanni Giaccone avevo studiato e mi ero concentrata. Soprattutto sulle figure femminili del romanzo. E dunque sempre per presentare Satan’s Circus, l’ultimo romanzo di Giovanni Giaccone ho fatto una riflessione sulla perfidia femminile che mi ha fatto tornare alla memoria il fantastico saggio di Lia Volpatti: Sul braccio di colei . Il mio week end è stato quindi abitato da  tutte le cattive dei proverbi, delle favole, della Bibbia, della tragedia classica, del romanzo dell’800, dei noir del novecento, dei drammi di Shakespeare. Salomè, Dalila, Fedra, Nanà, Lady Machbeth…E a questo punto io che sono pop come non mai, un direttore di una scuola mi disse che ero la Milly Carlucci de noialtri, comincio a pensare quale sia la mia cattiva, quella che mi ha cambiato la vita, mi ha spezzato la crescita, mi ha fatto diventare quello che sono. Ed eccola. Non viene da un romanzo signori, neanche da un’opera teatrale, ma da un telefilm: Dynasty.

Alexis Morrel Carrington Colby Dexter Rowan.

La quantità di cognomi dovrebbe già farvi capire quanti contratti matrimoniali la signora abbia alle spalle. Joan Collins perfettamente in ruolo, è la vera e classica vamp, una fusione tra malvagità ed erotismo. Non ha tenerezza per nessuno, è avida, vendicativa, indossa cappelli, veline, abiti animalier, zebrati, pellicce, perle, Chanel originali e il business per lei è tutto. Anche quando è in casa da sola è truccatissima, bardata come se dovesse andare ad una prima, in mano ha o un Veuve Clicquot ghiacciato, o un Martini cocktail. Il trucco e la pettinatura sono perfetti anche se ha appena vissuto la più travolgente notte della sua vita o semplicemente si è appena svegliata. Le pellicce le indossa anche quando ci sono 30 gradi e quando, immersa tra bolle e spume, fa il bagno in testa ha un turbante anni ’30. Prende le telefonate sdraiata sul divano e compra per concentrarsi. Dorme in lenzuola di seta color crema. Si sposa solo per guadagnare di più e per aver complici che la portino a completare il suo scopo nella vita: distruggere il ricchissimo petroliere Blake Carrington. Forse l’unico uomo che ama e dunque per questo, unica debolezza da demolire. Tutto ciò nell’allora capitale del petrolio, Denver. Ecco Giovanni Giaccone ti ringrazio di avermi fatto riscoprire questo personaggio che, al pari di anni di terapia, mi sta dando tante risposte non solo sul perché gli scrittori disegnino personaggi femminili perfidi.

“Sul braccio di colei….”dalla canzone Vipera di E.A. Mario del 1919